domenica 28 febbraio 2016

A Bigger Splash - 2015

Lui, lei, l'ex e la figlia dell'ex in un film noir ambientato intorno a una piscina nella cornice mediterranea dell'isola di Pantelleria. Tra vecchie passioni mai sopite, rancori e attacchi di gelosia, sappiamo già che la vicenda finirà in tragedia, quindi prepariamoci una bella confezione di pop-corn e godiamoci le morbose vacanze dei nostri protagonisti.
Ammetto che di Luca Guadagnino, regista di A Bigger Splash, conosco ben poco: questo è il suo primo lavoro che sono riuscito a guardare dall'inizio alla fine. Ho tentato qualche anno fa di dare una chance a Melissa P., ma ho desistito dopo 20 minuti. Mi dicono che Io sono l'amore sia una pellicola valida; mah, in futuro potrei anche pensare di recuperarla.

Ma veniamo a questo "grande spruzzo": è il remake di un film francese di fine anni Sessanta con Alain Delon e Romy Schneider, intitolato La piscina. Anche in questo caso ammetto la mia ignoranza in materia: non ho visto La piscina e al momento una sua visione non risulta tra le mie priorità. Non mi metterò quindi a disquisire quanto di quest'ultimo lavoro di Guadagnino sia un omaggio, quanto ci sia di originale, eccetera.
Perché in ogni caso sono riuscito a godermi A Bigger Splash senza conoscere nulla delle sue origini, e per la proprietà transitiva lo potete fare anche voi.

COSA SUCCEDE IN A BIGGER SPLASH
Marianne è un'affermata rockstar che ha subito di recente un'operazione alle corde vocali; per rilassarsi nell'attesa di poter tornare a cantare, decide di trascorrere l'estate insieme al fidanzato Paul nell'isola di Pantelleria. I due però vengono raggiunti dall'esuberante produttore discografico Harry, il quale sta soggiornando in Italia assieme alla giovane figlia Penelope. La presenza in casa di quest'ospite inatteso, il cui carattere estroverso e festoso ben si sposa con la personalità indomita di Marianne, trascina Paul in una spirale di gelosia.
Non bisogna dimenticare inoltre che Harry è l'ex fidanzato di Marianne; Paul quindi sospetta, a ragione, che Harry sia giunto di proposito a Pantelleria per innescare un ritorno di fiamma nella rockstar.
Contemporaneamente Penelope comincia a interessarsi al taciturno e riservato Paul, flirtando con lui in maniera sempre meno innocente. L'idillio della vacanza si infrange in un crescendo di tensioni, segreti non rivelati, e parole che invece non si sarebbero mai dovute pronunciare.

COMMENTIAMO A BIGGER SPLASH
Ok, diciamolo subito fuori dai denti: A Bigger Splash non è un film semplice, e non sono nemmeno sicuro di averlo compreso appieno. La regia è fenomenale per tre quarti della pellicola, con tocchi di classe quali l'ombra dell'aereo sulla coppia Marianne/Paul a inizio storia, sottile presagio del cataclisma che stravolgerà la loro vacanza, o l'incessante e nervoso saltellare della macchina da presa da un particolare all'altro: una grotta, un paio di occhiali da sole riflettenti, un tallone, un cazzo al vento.
Ebbene sì, il nudo e crudo qua abbonda, e ce n'è per tutti i gusti.

Torniamo seri. La Pantelleria di Guadagnino è suddivisa in tre microcosmi: gli stranieri in vacanza, la popolazione del luogo e i migranti provenienti dal Nordafrica. Rappresentanti di questi microcosmi possono anche stare nella stessa inquadratura, tuttavia non interagiscono gli uni con gli altri se non in rari casi, quasi si trovassero in tre Pantellerie differenti.
E' in questa mancanza di interazione che ho trovato particolarmente ostico il messaggio del film, se mai ce ne sia uno. Perché inserire la questione dell'ondata migratoria, se comunque la storia regge benissimo anche senza? Dato che la durata di una pellicola è limitata, e in due ore devi saper raccontare una storia che abbia un senso se vuoi che il pubblico ti segua (a meno che non ti chiami Andy Warhol), mi sono chiesto come mai Guadagnino abbia voluto inserire queste sequenze con gli immigrati nordafricani, all'apparenza completamente avulse dal turbine di passioni e gelosie represse dei quattro protagonisti.

E non mi è mica stato facile tirar fuori una spiegazione razionale.

L'unica interpretazione decente che sono riuscito a trovare è nel modo in cui i quattro protagonisti vengono caratterizzati, in particolar misura la coppia Marianne/Harry, la rockstar e il produttore discografico: due persone che avevano la forza di cambiare il mondo con il loro talento e la loro pulsione rivoluzionaria (specialmente Harry, che sfoggia un tatuaggio sul petto con falce e martello), ma che si sono via via imborghesite e isolate dal resto del mondo.
A queste persone, così autocelebrative e prigioniere del loro passato, che arrivano a giustificare le proprie azioni con un lapidario "Siamo tutti osceni", la questione dei migranti appare come un qualcosa di fuori posto, quando in realtà i fuori posto sono proprio loro.

Da un certo punto di vista l'indifferenza dimostrata da Marianne e gli altri, da questi "comunisti" da salotto, fa rabbrividire: non dovrebbero essere i primi a interessarsi delle condizioni dei migranti? E invece niente, si barricano nell'edonismo della loro casa-fortezza dove ascoltare dischi in vinile (rigorosamente), ricordare di quanto si era fighi insieme ai Rolling Stones, e creare situazioni equivoche.
Non che mi dispiaccia: come dicevo, il film eccelle nei momenti di tensione che vengono a crearsi tra i quattro protagonisti; in ogni caso, quella sensazione di "fuori posto" rimane.

Per concludere, avrò compreso il messaggio di questo film, o ci sono almeno andato vicino? Quello che ho appena scritto ha un minimo di senso o è uno svarione degno del miglior Enrico Ghezzi? Non lo so, non pretendo di avere la verità in tasca; l'unica cosa che posso dire è che questa pellicola mi ha fatto riflettere. E già questo mi basta e avanza per consigliarvi A Bigger Splash.

VOTO
7 più. Merita una visione, ma fatevi un piacere e guardatevelo per conto vostro, senza fidanzati/e, mariti, mogli o amanti intorno: può condurre a paranoia.

sabato 27 febbraio 2016

PPZ - Pride + Prejudice + Zombies - 2016

Lo ammetto: mi aspettavo una cagata pazzesca e invece mi sono dovuto ricredere. Fa sempre piacere andare a vedere un film che supera le tue aspettative (bassissime, in questo caso).
PPZ - Pride + Prejudice + Zombies (d'ora in avanti abbreviato in PPZ) appartiene a quel filone di film di serie B in cui tutto quello che c'è da sapere è già nel titolo. In questo caso, Orgoglio e pregiudizio con gli zombie, né più né meno.
Incredibile ma vero, l'accoppiata funziona; con qualche riserva, che vedrò di delineare qui di seguito.

COSA SUCCEDE IN PPZ
Nel XIX secolo, l'Inghilterra è in ginocchio a causa di un'interminabile e dispendiosa guerra contro i morti viventi. Per fronteggiare la continua minaccia di queste creature immonde, i giovani aristocratici si recano in Estremo Oriente per apprendere le arti della lotta corpo a corpo. Le cinque sorelle Bennet sono da poco ritornate dal loro addestramento in Cina, e passano ora le loro giornate tormentate dalle continue manfrine della madre, la frivola signora Bennet, affinché trovino un marito benestante il prima possibile.
Jane, la sorella primogenita, conosce a un ballo l'affascinante e facoltoso signor Bingley, e tra i due giovani è subito colpo di fulmine. Tuttavia questa unione non è vista di buon occhio dal colonnello Darcy, il quale teme che Jane sia solamente interessata all'eredità dell'amico.
Dal canto suo Darcy rimane colpito dalla secondogenita Elizabeth, ma il carattere orgoglioso di lui e l'atteggiamento insofferente di lei non fanno altro che alimentare un sentimento di avversione reciproca. O almeno così sembra.
La vita di Elizabeth prosegue tra duelli contro gli apparentemente inarrestabili morti viventi, nuovi spasimanti che chiedono la sua mano, e continui malintesi con il colonnello Darcy, il quale riesce persino a far separare Jane e Bingley.
Solamente il precipitare degli eventi, con gli zombie pronti a un'invasione su larga scala, permetterà a Elizabeth e Darcy di mettere da parte i propri preconcetti e cedere all'amore.

COMMENTIAMO PPZ
Gli aspetti positivi di questa pellicola non sono molti, ma contribuiscono a rendere la visione del film un piacere. Innanzitutto, è una parodia ben scritta che rende omaggio al soggetto originale di Jane Austen (non mi pronuncio qui sul romanzo di Seth Grahame-Smith, da cui è stato tratto questo film, perché non l'ho letto). Alcuni concetti chiave dell'opera letteraria, quali l'importanza del ceto sociale o del tipo di educazione ricevuta vengono qui semplicemente accennati, per dare maggiore spazio ai continui conflitti tra gli umani e l'orda impetuosa dei morti viventi. PPZ è un film d'azione, dopotutto.
In breve questa pellicola riesce a incastonare l'universo borghese dei primi anni del XIX secolo nella cornice apocalittica del genere zombie; e ci riesce con successo, un'impresa non da poco.

Gli aspetti che non funzionano sono tanti e sparsi per tutta la durata del film. In questa sede mi limiterò soltanto a quelli più evidenti, perché in ogni caso PPZ è un prodotto di serie B e possiamo quindi sorvolare certe disattenzioni di poco conto.

Primo problema: la maniera in cui ci viene presentato il mondo di PPZ. Ogni film dell'orrore ha i suoi "canoni": chi sono i mostri, come si muovono, come si propagano, come possono essere uccisi, eccetera. La regola d'oro per spiegare questi canoni al pubblico è quella di utilizzare le immagini, non le parole: il classico show, don't tell. Purtroppo PPZ si dimentica completamente di questa regola, cosicché agli inizi del film assistiamo a un dialogo surreale tra Darcy e la padrona di casa, dove il giovane colonnello sciorina alla signora, e di conseguenza al pubblico, quali sono i "canoni" di questo film. L'espediente del dialogo è quanto di più pigro ci possa essere, oltre a non avere alcun senso: secondo PPZ, infatti, la piaga degli zombie è iniziata almeno cinquant'anni prima, per cui chiunque è a conoscenza di che cosa siano questi morti viventi e di come si moltiplichino; non c'è alcun motivo per cui la povera padrona di casa necessiti di una rinfrescata di memoria.

Secondo problema: l'assoluta mancanza di intesa tra Bella Heathcote, l'attrice che interpreta Jane, e Douglas Booth, l'attore che interpreta il signor Bingley. Entrambi tanto carini e fotogenici, ma due scope in culo quando si tratta di recitare. Credo che avrebbero fatto un lavoro migliore usando una Barbie e un Ken.
Ok, torniamo seri: la travagliata storia d'amore di Jane e Bingley, per quanto in secondo piano, è indispensabile ai fini della maturazione psicologica di Elizabeth e Darcy. Ma se la storia d'amore tra i primi non si fa vedere, di conseguenza ne risente anche quella dei secondi.

Terzo problema: il montaggio e l'illuminazione delle scene di battaglia. E qui non ci sono scusanti: se in un film d'azione non mi fai capire chi sta tranciando cosa, a me viene qualche dubbio che tu abbia sbagliato mestiere. La vittima eccelsa è il duello nelle cucine a circa un terzo della pellicola, ripreso pressoché in assenza di illuminazione e virato al rosso. Davvero, non riesco a capire il perché di questa scelta infelice.
In generale le scene di battaglia sono alquanto sottotono, annebbiate e girate in maniera confusionaria: c'è violenza, ma è al rallentatore, ci sono sangue e budella, ma sono sempre fuori fuoco. Un grande peccato, perché con un titolo come Orgoglio e pregiudizio e zombie ci si poteva sbizzarrire quanto più possibile; e invece è stato fatto il minimo sindacale.

VOTO
5 pieno. E' un esperimento divertente, che avrebbe raggiunto la sufficienza se avesse osato di più e se si fosse ricordato ogni tanto di illuminare il set. Se al liceo Jane Austen vi ha cambiato la vita, andatelo a vedere; altrimenti state pure a casa.

venerdì 26 febbraio 2016

Labyrinth - Dove tutto è possibile - 1986



Labyrinth, insieme ad altri titoli usciti negli anni '80 come I Goonies, o Willow, è uno di quei film per bambini che non tratta i bambini da stupidi. E soltanto per questo meriterebbe una visione.
Pochi mesi ancora e questa pellicola avrà compiuto 30 anni: per celebrare il suo anniversario, e per commemorare la recente dipartita dell'inarrivabile David Bowie, ho deciso di aprire la sezione dei film "da salotto" proprio con Labyrinth.

Versione recensita: Blu-ray del 2009, qui in tutto il suo splendore
COSA SUCCEDE NEL LABIRINTO
Sarah è una quattordicenne ancora legata al mondo dell'infanzia: l'arredamento della sua camera, i suoi abiti, e i suoi libri preferiti rispecchiano l'immagine di una ragazza che non ha voglia, o non è in grado, di diventare un'adolescente. Una sera viene lasciata sola ad accudire il fratellino Toby di appena un anno; esasperata dai continui piagnistei del piccolo, Sarah esprime un puerile desiderio: che gli gnomi si portino via il bambino nella loro città. Accade l'impensabile: il suo desiderio viene esaudito, e la ragazza si rende conto dell'errore che ha commesso, pentendosi amaramente. Jareth, il re degli gnomi le concede allora una possibilità: se entro tredici ore Sarah riuscirà a raggiungere il castello di Jareth, circondato da un colossale labirinto, allora potrà riavere con sé il bambino. In caso contrario, Toby verra tramutato in uno gnomo.
Sarah intraprende così una corsa contro il tempo, attraverso il labirinto e i suoi innumerevoli ostacoli, per rimediare al proprio cieco egoismo e salvare il suo fratellino.
Il piccolo Toby terrorizzato in compagnia dei suoi rapitori: non ti preoccupare, vedrai che adesso arriverà Sarah a salvarti, e ci penserà lei a pagarti i cinque anni di sedute dallo psichiatra.
COMMENTIAMO LABYRINTH
Bisogna dire le cose come stanno: Labyrinth è un film invecchiato male. E' senza dubbio una pellicola audace, divertente e cruda al tempo stesso, oltre che una meraviglia dal punto di vista tecnico: tutti i pupazzi che compaiono nel film sono veri e tangibili, genuini attori di cartapesta, gommapiuma e pompe idrauliche. Siamo ancora nell'era pre-computer grafica qui (se si escludono i titoli di testa, ma qui stiamo spaccando il capello in quattro), e l'atmosfera che questo film restituisce ha un qualcosa di "reale". Il che fa sorridere, visto e considerato che stiamo parlando di un mondo popolato di gnomi, fate, nani e orangutan giganti. Inoltre, come accennavo all'inizio, Labyrinth è uno di quei rari prodotti che considera i suoi giovani spettatori come creature dotate di un cervello e non come dei completi idioti.
Il principale problema di questo film, e anche il motivo per cui ritengo che sia invecchiato male, è lo svolgimento della trama principale. Labyrinth è composto di tante piccole scene perfette (Gogol che spruzza l'insetticida contro le fate, David Bowie che canta Magic Dance insieme agli gnomi, il ballo in maschera, solo per citarne alcune), che tuttavia non riescono ad amalgamarsi in un intreccio compatto.
Poi ci sono tutte quelle sequenze che tirano il freno a mano su un'azione che già di suo non è delle più spedite: il saggio con il cappello parlante, i pupazzi smontabili, il ponte di Sir Dydimus, o il golem all'entrata della città dei goblin hanno più il sapore di riempitivo che non di un qualcosa di necessario ai fini della narrazione.
Oooh, vieni qui graziosa fanciulla, e lasciami parlare a vanvera per cinque minuti. Tanto hai tempo, no?
In poche parole, agli autori interessa soltanto esibire le meraviglie del mondo che sono riusciti a creare; la missione di Sarah, in tutto questo, passa in secondo piano. Più delle volte guardando questo film vi chiederete: ma Toby? non lo vogliamo andare a salvare una buona volta?

Ma veniamo ai due personaggi principali, Sarah la protagonista(?) e Jareth l'antagonista(?). E' qui che a mio parere la pellicola dà il meglio di sé: in Labyrinth non esiste il bianco o il nero, l'interamente buono o l'interamente cattivo.
Sarah si comporta da perfetta stronza agli inizi della storia, e ci presenta un carattere di gran lunga più insopportabile dei piagnistei del fratellino Toby. Jareth, dal canto suo, non è sicuramente un personaggio malvagio e amorale: in fondo, egli non fa altro che esaudire la richiesta della ragazza per poi metterla in condizione di comprendere la gravità e le conseguenze del suo desiderio.
Sul re degli gnomi si possono trovare numerose teorie cercando nella rete: tra le mie preferite spicca quella che vede Jareth come personificazione del subconscio di Sarah, che tiene ancorata la ragazza in un mondo illusorio fatto di fiabe, balocchi e ricordi d'infanzia ancora troppo vivi per lasciarli andare.
E chi non lo vorrebbe un subconscio così?
Questo subconscio avverte però anche una pulsione nuova dentro di sé, qualcosa che ancora non ha un nome ben definito, ma che è in netto contrasto con l'innocente sfera dell'infanzia. Sarah ha quattordici anni e sta scoprendo per la prima volta la propria sessualità: Jareth, in quanto uomo più maturo di lei, amichevole ma a tratti terrificante, sottomesso e allo stesso tempo autoritario, incarna alla perfezione lo stato d'animo confuso di Sarah di fronte a queste sensazioni nuove e ancora sconosciute.

Una domanda che mi sono posto fin dalla prima visione del film è: Sarah e Jareth si conoscevano già?
All'inizio della pellicola, prima di cedere al proprio egoismo la ragazza cerca di calmare Toby raccontandogli una fiaba che narra di una povera fanciulla maltrattata da tutti e del suo fratellino viziato e sbraitante. Non ci vuole una laurea per capire che Sarah sta parlando di se stessa; ciò che nessuno sapeva, prosegue la ragazza, è che il re degli gnomi si era innamorato di lei, e le aveva fatto un dono: le parole magiche per sbarazzarsi del marmocchio rompiscatole.
La narrazione di Sarah mi è sempre sembrata troppo "realistica" per essere semplicemente un prodotto della sua fantasia: ecco perché la mia interpretazione è che Sarah e Jareth si fossero già incontrati in passato. Dove e come il film non lo spiega, però questo primo incontro viene idealizzato nella sequenza del ballo in maschera, in cui un'impacciata Sarah-Cenerentola incontra il suo principe, ma deve abbandonare il palazzo allo scoccare della mezzanotte.
Lo sguardo di Sarah non lascia dubbi: questo è ammore
Ma quindi? Jareth è semplicemente un frammento della psicologia di Sarah, o è un personaggio in carne e ossa? Mah, io propendo di più per la seconda opzione, ma non c'è alcun motivo per escludere che l'intera vicenda avvenga soltanto nel subconscio della ragazza.
E' in questa interpretazione così ad ampio raggio dei suoi personaggi che Labyrinth dà il meglio di sé: ogni spettatore, piccolo o grande che sia, può trarre le proprie conclusioni sul viaggio di Sarah attraverso il labirinto. Quanti altri film per bambini riescono a ottenere questo risultato?
Ecco perché affermo che Labyrinth è un film per bambini che non tratta i bambini da stupidi.

IN CHE LINGUA LO GUARDO?
Sono dell'idea che un film vada goduto nella sua lingua originale quando possibile. Detto questo, il doppiaggio italiano di Labyrinth è eccellente, e lo consiglio senza alcun indugio.
Cosa funziona nel doppiaggio italiano: su tutti Ilaria Stagni, la doppiatrice di Sarah. Per quanto Jennifer Connelly sia diventata nel corso degli anni un'attrice di fama internazionale, in questa pellicola si avverte spesso un che di acerbo. I suoi scatti d'ira sono inascoltabili in inglese, mille volte meglio in italiano.
Cos'altro funziona: le cadenze e gli accenti dei vari personaggi di contorno, dal verme "franscese" alle guardie che parlano in siciliano (forse perché il loro aspetto ricorda i pupi?).
Inoltre, c'è un leggero errore nella versione originale per quanto riguarda le parole magiche che Jareth ha insegnato a Sarah per sbarazzarsi del bambino; tale errore non è presente nella versione doppiata, quindi un altro +1 per l'edizione italiana.

Cosa non funziona: nelle scene più concitate, molte frasi dei personaggi di contorno sono state completamente eliminate per far spazio a urla o versi. Nulla che possa compromettere la visione del film, sia ben chiaro, però mi sembrava doveroso farlo notare.

I nostri eroi si addentrano nella foresta dei fratelli Grimm. Notate niente di strano sull'albero più a destra?
L'adattamento italiano è fedele al 95%, qua e là qualche frase viene inventata di sana pianta, ma anche in questo caso la visione della pellicola non è per nulla compromessa.
Due nomi sono stati modificati in fase di adattamento: il nano Hoggle è diventato Gogol, mentre il bestione Ludo è stato ribattezzato Bubo. Trovo che Gogol sia azzeccatissimo, soprattutto perché rende molto bene i vari giochi di parole e le gag di cui l'originale Hoggle è vittima.
Ho invece qualche riserva per Bubo: personalmente, ritengo che il nome Ludo avrebbe funzionato anche in italiano, e avrebbe regalato al personaggio una connotazione "giocosa" di cui Bubo è privo. Sarà che Bubo mi fa venire in mente la peste dei Promessi Sposi, e quindi faccio fatica a digerirlo.

Sempre in ambito adattamento italiano, non si possono dimenticare le pandafoline ("panda slippers" nella versione originale)! Chiunque abbia creato questo termine meriterebbe un premio speciale.
Sarah e compagni sono finalmente giunti alle porte del castello di Jareth. Cosa sono quei due contenitori sulla sinistra? Bottiglie di latte? Mi volete far credere che il re degli gnomi si fa portare il latte sotto casa?
VOTO
7 meno. Per voi genitori, fatelo vedere ai vostri figli quando andranno alla scuola elementare e se ne innamoreranno. Per tutti gli altri, godetevi questa strabiliante meraviglia tecnica, ma non aspettatevi di rimanerne coinvolti.


giovedì 25 febbraio 2016

Brooklyn - 2015


La mia avventura bloghiana comincia placida e silenziosa con un film che, guarda caso, sta passando quasi inosservato. Eppure è candidato agli Oscar 2016 anche come miglior film, per cui tanto schifo non potrà fare, giusto?
E infatti la risposta è scontata: Brooklyn è davvero un buon film. Non solo; tratta un argomento che mi sta molto a cuore: il doversi trasferire in un paese che non è il tuo, ricominciare tutto da zero, non avere amici, sentirsi soli e in preda a quel dubbio attanagliante di aver fatto la scelta giusta.
Ma andiamo con ordine.

COSA SUCCEDE A BROOKLYN
La storia è ambientata agli inizi degli anni '50. La giovane Eilis Lacey abbandona il suo paese natale, l'Irlanda, per trasferirsi negli Stati Uniti alla ricerca di un futuro. Tanto intelligente quanto riservata, Eilis dapprima fatica a trovare una sua dimensione al di là dell'oceano, e la sua unica consolazione sono le lettere della sorella Rose, rimasta in Irlanda assieme alla madre. Con il passare del tempo, tuttavia, Eilis riesce a vincere la nostalgia e Brooklyn diventa in tutto e per tutto la sua nuova casa. Con un futuro come contabile e un fidanzato che a trovargli un difetto ce ne vuole, la vita di Eilis non potrebbe essere più rosea; purtroppo, un lutto improvviso in famiglia costringe la ragazza a ritornare nel suo paese natale. Molte delle sicurezze che Eilis aveva acquisito negli ultimi mesi sono messe a dura prova: se prima faticava a trovare un lavoro a tempo pieno, ora è il lavoro a trovare lei; se prima nessun ragazzo del posto sembrava essere interessato, ora nientemeno che uno dei migliori partiti della città comincia a farle la corte. Forse anche in Irlanda non si sta così male, in fin dei conti...

Ovviamente, se volete conoscere la decisione finale di Eilis, se restare in Irlanda o tornare a Brooklyn, dovete guardarvi il film (o leggervi la trama su qualche altro sito; di mia regola, non rivelerò MAI un finale sul mio blog).

COMMENTIAMO BROOKLYN
Sono impressioni a caldo, dato che ho terminato di vedere il film soltanto poche ore fa.
Cominciamo dalle rassicurazioni: dal trailer che trasmettevano qui in Lussemburgo, Brooklyn mi dava l'impressione di essere un chick flick stile Autumn in New York. Meno male che era soltanto un'impressione: Brooklyn non è una storia d'amore, è la storia di un essere umano alla ricerca della propria identità.

Cosa mi è rimasto impresso: beh, innanzitutto la caratterizzazione di Eilis Lacey. E' un'eroina atipica, presentata come timida e con un'autostima sotto le scarpe all'inizio della storia.
Da un certo punto di vista, ho faticato a comprendere i suoi struggimenti per il paese appena lasciato. In fondo, Eilis trova sempre la pappa pronta: arriva negli Stati Uniti che ha già un lavoro, non deve imparare una nuova lingua, non deve affannarsi per trovare alloggio, e ha pure i corsi serali all'università per diventare contabile sovvenzionati dalla parrocchia. Rispetto alla stragrande maggioranza degli immigrati Eilis ha la vita facile, non c'è che dire.

Se però mi fermo un secondo e ripenso alla mia esperienza di italiano emigrato all'estero (da parecchi anni ormai), mi rendo conto che i miei primi tempi non erano poi tanto differenti. Avevo un appartamento, un salario decente, non c'era nulla di cui mi dovessi lamentare; eppure mi sentivo costantemente un "pesce fuor d'acqua".
Questo film mi ha fatto ricordare quei primi mesi, dove ogni giorno sembra più difficile di quello precedente, e la tua vita è composta di tanti bassi e pochi alti. Chiamatela "nostalgia", chiamatela "culture-shock" o anche semplicemente "processo di assimilazione", è una fase sotto la quale dobbiamo passare tutti. Finché, piano piano, si inizia a vedere il nuovo paese come la propria "casa".

Tornando a Eilis, un altro aspetto che ho apprezzato in maniera particolare è la sua metamorfosi da ragazza inibita e timorata di Dio a giovane disinvolta e talora anche sfacciata.
Eppure, nonostante la trasformazione Eilis mantiene fino al termine della pellicola una certa insicurezza e ingenuità che la portano a commettere errori facilmente evitabili. Durante l'intero secondo tempo Eilis è letteralmente in balia degli abitanti del piccolo borgo in cui ha fatto ritorno; dov'è finita tutt'a un tratto quella sicurezza acquisita nei mesi precedenti?
Ma in fondo il fascino di questo film sta anche in questo: Eilis non è un'eroina perfetta, è un essere umano. Ogni tanto agisce in maniera sensata, ogni tanto no, nonostante l'esperienza accumulata.

Una piccola nota sui vari personaggi di contorno. Sono tutti caratterizzati al meglio, e nessuno cade vittima di facili stereotipi. In poche battute regalano un universo di voci differenti sempre desiderose di interagire con la protagonista.
Mi rimane un unico dubbio riguardo ai genitori di Tony, il fidanzato di Eilis. Sono entrambi italiani a detta di Tony, eppure quando dialogano con Eilis sfoggiano una delle migliori dizioni di inglese americano mai udite in sala. In un quartiere dove ogni singolo abitante parla con una determinata cadenza, mi è sembrato alquanto strano che questi due immigrati italiani parlassero un americano impeccabile. Che scuole serali avranno mai frequentato?
Come dicevo, è solamente un piccolo appunto, relegato a una scena che non supera i due minuti.

DA OSCAR?
Brooklyn ha ricevuto tre nomination: miglior film, miglior sceneggiatura non originale, miglior attrice protagonista. Se li meriterebbe tutti e tre se non fosse che quest'anno la concorrenza è spietata, con titoli di grande spessore in ciascuna categoria (e The Revenant che si prospetta asso pigliatutto); chissà se Brooklyn riuscirà a portare a casa almeno una statuetta.
Saoirse Ronan, l'attrice che interpreta Eilis, regala sicuramente una performance eccelsa; se qualcuno a Hollywood è in grado di pronunciare il suo nome, ha qualche chance di vincere l'oscar.

La locandina del film fuori dalla sala, in tutto il suo splendore


VOTO
8 pieno. Guardatelo senza remore.