domenica 24 aprile 2016

Quel fantastico peggior anno della mia vita - 2015

Se siete degli assidui lettori avrete sicuramente notato che negli ultimi anni la sezione "Giovani adulti" nelle librerie (vere o virtuali che siano) si è ingrandita in maniera esponenziale. Il fenomeno deve le sue origini alla fortunata saga del maghetto Harry, che ha raggiunto i lettori di ogni fascia d'età, ma in special modo gli adolescenti. Da lì è cominciato il boom di storie fantastiche, con quel pizzico di romanticismo per accontentare gli adolescenti in tempesta ormonale di entrambi i sessi. La letteratura per giovani adulti esisteva ben prima di Harry Potter, ma mai nessuno aveva pensato che potesse rappresentare una miniera d'oro. Al giorno d'oggi la categoria può vantare romanzi di qualunque genere, dalla fantascienza all'apocalisse zombie, fino ad arrivare a quegli innominabili pastrocchi amorosi tra esseri umani e patetiche brutte copie degli immortali succhiasangue.
E fin qui, tutti d'accordo. Ma come mai questo lungo excursus sulla letteratura per giovani adulti? Perché quando finalmente Twilight giunse al termine, e tutti noi si sperava che venisse dimenticato il più in fretta possibile, ecco comparire una nuova storia d'amore per adolescenti, questa volta con due malati terminali di tumore come protagonisti. La prima volta che sentii parlare di Colpa delle stelle nel 2014, il mio animo cinico pensò: "Questi non sanno più cosa inventarsi per vendere: prima erano i vampiri, poi il sadomaso, e adesso il cancro".
E, sempre perché il cinismo non è mai troppo, la prima volta che mi sono imbattuto in Quel fantastico peggior anno della mia vita l'anno scorso, non ho potuto fare a meno di pensare: "Oh guarda, il tumore ha fatto scuola; ora escono pure le imitazioni!"
E mi sbagliavo. Eccome se mi sbagliavo.
Preparate i fazzoletti: ecco la mia recensione di uno dei film più ingiustamente ignorati degli ultimi tempi.
(NB: Colpa delle stelle è un bel film, non date ascolto al mio cinismo, ché ogni tanto spara cazzate.)

La versione recensita è quella distribuita in Germania.
Notare come il titolo in tedesco non menzioni per nulla
il fatto che Rachel sia una malata terminale.
Beh, anche il titolo in italiano se è per quello!
COSA SUCCEDE DURANTE IL FANTASTICO PEGGIOR ANNO DELLA MIA VITA

Greg sta per cominciare l'ultimo anno di liceo; al contrario di tutti gli altri suoi compagni, il ragazzo non vuole sentirsi parte di alcun gruppo, fa l'amicone di tutti mentre in realtà non è amico di nessuno, e il suo unico obiettivo è quello di mantenere un profilo più basso possibile. Greg condivide una passione sfrenata per i film con il coetaneo Earl (sebbene Greg si guardi bene dal definirlo "amico"); nel corso degli anni i due ragazzi hanno realizzato numerose affezionate parodie dei loro autori preferiti, da Luchino Visconti ad Akira Kurosawa, passando per Alfred Hitchcock e Martin Scorsese, tanto per citarne alcuni. Inutile a dirsi, questi omaggi/parodie sono delle schifezze immonde, per diretta ammissione di Greg ed Earl.
L'ultimo anno di liceo è appena cominciato, quando Greg viene a sapere che una delle sue compagne, Rachel, si è ammalata di leucemia; il ragazzo è costretto da sua madre ad andare a far visita a Rachel e tirarla su di morale. Greg è ovviamente contrario, tuttavia non può far altro che obbedire all'ordine. Una volta giunto all'abitazione di Rachel, Greg scopre che la sua compagna non è quella ragazza noiosa che aveva sempre immaginato; al contrario, Rachel è simpatica, intelligente, ed è davvero un piacere starle accanto. Nel giro di pochi giorni i due diventano amici; grazie a Rachel, pian piano Greg si libera di quell'apatia che lo aveva accompagnato per anni, e diventa una persona capace di esprimere un'opinione e prendere decisioni.

Me and Earl ci regala alcune vedute del liceo di Greg ai limiti del surreale.
COMMENTIAMO IL FANTASTICO PEGGIOR ANNO DELLA MIA VITA
E' fin troppo facile liquidare questo titolo come "imitazione del ben più celebre Colpa delle stelle"; in effetti le due pellicole presentano numerosi punti in comune, a cominciare dal fatto che sono entrambe degli adattamenti cinematografici, usciti a poca distanza l'uno dall'altro, e i loro soggetti originali sono due romanzi pubblicati pressoché in contemporanea! E poi ci sarebbero anche i temi trattati che appaiono davvero simili: giovani vite destinate a scomparire ben prima del previsto a causa di un male incurabile e spietato. Se osserviamo più da vicino, però, scopriamo che Quel fantastico peggior anno della mia vita (d'ora in poi abbreviato in Me and Earl, in riferimento al titolo originale Me and Earl and the Dying Girl) in realtà si discosta dal suo predecessore sotto diversi aspetti.
Innanzitutto, non è una storia d'amore adolescenziale. Niente baci, niente dichiarazioni di amore eterno su WhatsApp, niente scene imbarazzanti su come i nostri protagonisti perdano la verginità, niente di tutto questo: Me and Earl è essenzialmente il racconto della crescita interiore di un diciottenne dotato di grande intelletto e scarsissima autostima.

Me and Earl utilizza spesso le didascalie per sottolineare il trascorrere del tempo. Notare come la lente riesca a dilatare la stanza di Rachel, creando l'illusione che i due ragazzi siano ben più distanti di quanto non lo siano in realtà.
In secondo luogo, è un film che parla di altri film, di altri autori, di altre storie, in un continuo susseguirsi di omaggi più o meno velati. Per gli appassionati di cinema diventa uno spasso cercare di cogliere ogni singolo riferimento, un po' come era accaduto con The Dreamers di Bertolucci qualche anno fa (niente rapporti incestuosi ogni due per tre in questo caso, però).
Ma mettiamo pure da parte la "caccia alla citazione", che al massimo è un contentino per quei poveri pazzi che si scofanano una pellicola dietro l'altra (presente!), ma che certamente non può convincere il grande pubblico a dare a questo film una chance.
C'è una terza ragione per amare Me and Earl: è un film intimo, quasi un diario personale, dove il regista e gli attori annotano giorno per giorno le proprie sensazioni e i propri pensieri. E' incredibilmente difficile spiegarlo a parole, bisogna vedere il film in azione per apprezzarne la profondità e l'introspezione. Guardate come la macchina da presa tallona i ragazzi nelle scene più concitate, o come invece saltelli da un personaggio all'altro durante i dialoghi a botta e risposta; o ancora, le lunghe carrellate tra i due protagonisti durante i primi giorni di "forzata" amicizia, i piani sequenza interminabili nei momenti chiave della storia... e tanto, tanto altro ancora.

Greg e Rachel fanno visita al paradiso dei cinefili: un negozio di DVD traboccante di film provenienti da tutto il mondo.
E in primo piano, un omaggio allo Studio Ghibli.
Me and Earl è un film per adolescenti che osa moltissimo, sia dal punto di vista della trama (niente storia d'amore in vista, lo ripeto), sia dal punto di vista del linguaggio cinematografico; ma lo fa con un'umiltà e una leggerezza tali che inizialmente non ce ne rendiamo nemmeno conto. Regista e attori mettono in scena tutta la loro vulnerabilità, si presentano per quello che sono, e ci rivelano le loro gioie e le loro paure; ma lo fanno in silenzio, quasi di nascosto. E ci portano gradualmente nel loro mondo, tanto che alla fine del film siamo tutti diventati amici di Greg, Earl e Rachel.

Greg ed Earl si gustano un gelato assieme a Rachel dopo aver inavvertitamente pranzato con dei biscotti alla marijuana.
Greg non sembra gradire gli effetti.
Come tante opere all'apparenza meravigliose, anche Me and Earl non è privo di difetti e presenta le sue crepe sui muri sparse qua e là. Questo film fallisce miseramente nel caratterizzare il mondo degli adulti, tanto che mi viene da pensare che sarebbe stato molto meglio se la pellicola avesse raccontato la storia solamente dal punto di vista dei ragazzi lasciando i genitori completamente al di fuori della cornice narrativa.
Il motivo è molto semplice: gli adulti di Me and Earl non sono credibili, punto. La madre di Greg è una quarantenne moralista senza spina dorsale, mentre il padre, professore universitario, è un orso lunatico completamente incapace di sostenere qualsiasi interazione sociale. Con genitori del genere, mi stupisco che Greg sia riuscito ad arrivare ai diciott'anni mantenendo la stabilità mentale.
C'è poi lui, il mastro sborone in persona: il professor McCarthy, insegnante di storia al liceo di Greg, che vuole fare il "ggiovane" a tutti i costi. Guardatelo nell'immagine qui sotto: la scarpa sul tavolo, le braccia tatuate, il fisico palestrato, il risvolto dei pantaloni... ma dove l'hanno pescato questo? Ok che il copione richiedeva il professore "alternativo", ma c'era davvero bisogno di ricorrere a tutti gli stereotipi del caso?

Senza parole. Tutto il cattivo gusto del mondo riunito in un sol uomo.
Adulti ridicoli a parte, Me and Earl è un titolo che ha un sacco da dire e che merita assolutamente una visione. Cercatelo, passate due ore in compagnia di Greg e Rachel e, come dicevo all'inizio, preparate i fazzoletti.

IN CHE LINGUA LO GUARDO?
La versione che possiedo non contiene il doppiaggio italiano, per cui mi trovo in difficoltà a rispondere a questa domanda. Posso soltanto giudicare il trailer, fortunatamente disponibile su Youtube. Una piccola nota: se siete interessati a questo film, non guardate il trailer in italiano perché rovina un sacco di scene (oltre a non rendere per nulla giustizia alla colonna sonora originale di Brian Eno); cliccate sul trailer in inglese di sotto, piuttosto, che è molto più rispettoso da questo punto di vista. Se invece avete già deciso che Me and Earl non vi interessa, allora guardatevi pure il trailer in italiano qui e rabbrividite insieme a me.
Se hanno mantenuto le stesse voci del trailer, allora non posso fare a meno di dire che sono completamente inadeguate, specialmente nel caso di Earl e Madison, la ragazza di cui Greg è innamorato.

Una delle numerose parodie realizzate da Greg ed Earl: Arancia meccanica in versione calzini bianchi.
Earl in originale è un ragazzino cresciuto per strada, e la sua inflessione ruvida rispecchia in modo irreprensibile il genere di educazione che ha ricevuto. Tutto ciò si perde nella sua controparte doppiata: l'Earl italiano sembra più uno psicologo in erba, assolutamente inascoltabile. A Madison invece hanno affibbiato una voce che starebbe benissimo alla nuova presentatrice di Ok, il prezzo è giusto!, di certo non a una liceale diciottenne. Inascoltabile pure lei.
Non ho alcun mezzo (legale) per scoprire se il doppiaggio del trailer sia effettivamente anche quello del film, ma temo proprio che lo sia. Per questa ragione, vi consiglio di stare alla larga dalla versione italiana e di godervi Me and Earl nella sua versione originale.

Rachel in un momento di sconforto si allontana da Greg, durante una delle sequenze più lunghe e drammatiche dell'intera pellicola. Di nuovo, la lente dilata le dimensioni della stanza tanto che i due ragazzi sembrano posti su due piani differenti.
VOTO
8 meno. Se non fosse per la caratterizzazione ridicola degli adulti questo film prenderebbe di sicuro un voto più alto. In ogni caso, Me and Earl rimane un piccolo gioiello che purtroppo non si è filato nessuno. Rendete giustizia a questo titolo e sparatelo adesso sul vostro televisore, computer, tablet, quello che volete. Vi assicuro che saprà stupirvi.

domenica 10 aprile 2016

Cloverfield - 2008

Dopo tre settimane di rischi indicibili e traversie innumerevoli, eccomi di nuovo qua con una nuova recensione!
Quest'oggi parliamo del predecessore di 10 Cloverfield Lane; me lo ricordo come se fosse uscito l'altro ieri e invece ha già otto anni sul groppone. Ecco a voi Cloverfield, la vicenda di un mostro marino che rade al suolo Manhattan, interamente documentata da un cameraman amatoriale.
Lo stile è quello di The Blair Witch Project o L'ultimo esorcismo, tanto per intenderci; tutto girato in prima persona con una telecamera portatile, e una domanda tanto ovvia quanto senza risposta: ma perché cazzo questi qua continuano a girare perfino quando sanno benissimo che stanno per essere afferrati/tramortiti/sbudellati dal cattivo di turno? L'istinto di sopravvivenza non vale per questi tizi? Ma chi ve lo fa fare di continuare a documentare il tutto? Buttate la telecamera a terra (o meglio ancora, scagliatela contro il vostro inseguitore) e fuggite a gambe levate!
Anche Cloverfield, pur con la supervisione del mio idolo J.J. Abrams, cade vittima del paradosso del cameraman, come potrete ben convenire se avete visto il film. E se invece non l'avete ancora guardato, leggetevi queste poche righe qui di seguito e decidete se ne vale la pena o meno.
E adesso, la trama.

La copertina del Blu-ray tedesco in tutto il suo bruttume.
COSA SUCCEDE IN CLOVERFIELD
Rob sta trascorrendo una (relativamente) piacevole serata in compagnia dei suoi amici, i quali hanno organizzato per lui una festa a sorpresa in occasione del suo imminente trasferimento in Giappone. L'atmosfera gioviale viene tuttavia interrotta da un improvviso black-out, a cui si susseguono violente esplosioni che devastano il quartiere di Manhattan, dove Rob e i suoi amici stanno festeggiando. Gli abitanti si riversano per le strade in preda al panico, mentre le forze di polizia invitano chiunque a evacuare il quartiere il prima possibile. In quel mentre Rob riceve una telefonata da Beth, amica di lunga data nonché ragazza di cui è innamorato; Beth racconta di essere bloccata nel suo appartamento, situato proprio nel centro di Manhattan, e di essere gravemente ferita.
Rob ha una vaga idea di che cosa stia accadendo: Manhattan è sotto assedio e l'esercito sta combattendo con tutti i mezzi a disposizione contro una creatura mastodontica che sta radendo al suolo l'intero quartiere. Nonostante ciò, il giovane, insieme a un gruppetto di amici che era con lui alla festa, decide di raggiungere il palazzo in cui abita Beth nel disperato tentativo di portarla in salvo.

Una delle poche scene "fisse" durante la festa d'addio di Rob.
Forse perché il nostro cameraman ha una cotta per la ragazza seduta sullo sgabello?
COMMENTIAMO CLOVERFIELD
Se prendiamo per vero quanto ci racconta J.J. riguardo la genesi di questo film, il tutto nasce da un viaggio in Giappone durante il quale il nostro amico si meraviglia del fatto che ancora oggi Godzilla sia estremamente popolare nel paese del Sol Levante, nonostante siano passati più di cinquant'anni dalla sua comparsa sul grande schermo. Con trenta film sul groppone, videogiochi, giocattoli e tutto il merchandising possibile e immaginabile, la fama del mostro radioattivo sembra più viva che mai.
Cosicché a J.J. viene in mente di realizzare una sorta di Godzilla statunitense, nella speranza di duplicare la ricetta di successo e dare vita a una lunga serie. Dato però che il mostrone di Cloverfield nasce e muore (spoiler: solo in senso metaforico) con questa pellicola, possiamo dire che la ricetta ha perso qualche ingrediente essenziale per strada. Bisognerà ora vedere come proseguirà la serie con l'impronta che le ha dato 10 Cloverfield Lane. In ogni caso, tralasciando le speculazioni, come film stand-alone Cloverfield è un buon prodotto oppure no?
La mia risposta è: bah.

Yaaaaaayyy! Esplosioni, luci, panico!!!
Il film è un grandioso esercizio di stile, dove la tecnica è maestra indiscussa e il sentimento è relegato in un angolino. Vi do qui un esempio pratico: come dicevo agli inizi, Cloverfield è interamente girato in prima persona da uno degli amici di Rob, il quale non è un cameraman professionista: ciò significa che numerose sequenze risultano essere instabili e/o fuori fuoco. In realtà il film è girato da operatori esperti che fingono di riprendere come se fossero dei dilettanti; il risultato è sicuramente convincente, e l'impegno dimostrato dai vari operatori è davvero encomiabile. Tuttavia il concetto sa più da curiosità da "dietro le quinte" che altro, è un plus che va a favore di chi ha lavorato a questo film e nulla più. Anzi, a quanto sembra, molti spettatori non hanno apprezzato l'eccessivo realismo di una telecamera sempre traballante; alcuni di essi hanno perfino accusato nausea e vertigini mentre assistevano alla proiezione.
Mammolette. Cloverfield si lascia guardare senza problemi, datemi retta. Se proprio mi devo lamentare di qualcosa, devo dire che non è stato facile catturare delle schermate che fossero a fuoco. Ma a parte questo, assicuro nuovamente che la visione non provoca malori di alcun tipo. A meno che non soffriate di mal d'auto anche quando siete voi stessi alla guida.

Fate ciao con la manina alla Statua della Libertà. A essere pignoli, la computer grafica è piuttosto deludente.
Esattamente come The Blair Witch Project, Cloverfield è il prodotto finale di una lunga e martellante campagna di marketing, nella quale si svelava poco o nulla del contenuto effettivo del film, ma che contribuiva a suscitare interesse e a mantenerlo costante. Ed esattamente come The Blair Witch Project, Cloverfield si apprezza molto meglio se lo colleghiamo alla campagna pubblicitaria che ha preceduto la distribuzione della pellicola. Perché di per sè Cloverfield non è altro che la riproduzione su grande schermo di un filmato girato da un ventenne che documenta la distruzione di Manhattan. Non ci sono un inizio e una fine ben precisi, è tutto un immenso in medias res: se tu, spettatore, non hai vissuto il marketing sulla tua pelle nel 2008, questo film avrà per te lo stesso impatto che hanno i filmini delle vacanze dei tuoi amici. Belli, ma tu non c'eri, quindi chettefrega?
In poche parole, Cloverfield come esperienza vissuta nel 2008 aveva un suo perché; invece, come film a sè stante per il mercato home-video ha meno senso di esistere.
Non c'è nulla che non funzioni, sia ben chiaro: il film è girato in maniera magistrale, gli attori sono credibili e la trama non è mai noiosa. Ah, la questione riguardante il "paradosso del cameraman" accennata agli inizi non influisce sul mio giudizio finale, perché in ogni caso in questo genere di film il cameraman è un completo idiota, e noi spettatori non possiamo fare altro che prenderne atto e gioire silenziosamente nel momento in cui verrà fatto fuori dal cattivo/mostro di turno.
In ogni caso, l'impressione finale è più quella di un esercizio di stile che non quella di un film realizzato col cuore.

Una telecamera a Manhattan che riprende una TV che riprende Manhattan.
Molto più comodo e pratico che uscire dal negozio e riprendere in prima persona, no?
IN CHE LINGUA LO GUARDO?
Ah beh, in inglese senza alcun dubbio. La versione italiana non fa schifo, ci mancherebbe; è solo che la separazione dei canali audio è pressoché nulla. In altre parole, se in inglese avete sempre una chiarissima idea del luogo di provenienza di un certo suono o una certa voce, che sia davanti a voi, dietro di voi, alla vostra destra o alla vostra sinistra, in italiano questo effetto manca del tutto. Aggiungiamo pure che in Cloverfield il suono è una componente essenziale per creare l'atmosfera di tensione che si respira per l'intera durata del film, per cui se manca il suono manca anche la tensione, e voi non avete più alcun motivo per guardare questo film.

La traduzione in italiano è discreta; nulla di eclatante ma fa il suo dovere. Ho trovato un unico errore grossolano, nella scena in cui Rob cerca di chiamare un ascensore il quale, a causa del black-out, non ha la benché minima voglia di funzionare. La sua amica Lily allora gli suggerisce:

Why don't you take the stairs?

che in italiano diventa

Non vorrai usare le scale?

quando in realtà sarebbe

Perché non prendiamo le scale?

In pratica, la Lily americana propone un'alternativa all'ascensore, mentre la Lily italiana si stupisce che Rob voglia farsi una serie di piani a piedi.
In ogni caso, la scena a cui questo dialogo si riferisce non è rilevante ai fini della trama, quindi si può tranquillamente chiudere un occhio. Mi sembra comunque davvero strano che durante la traduzione nessuno se ne sia accorto. In ogni caso, c'è ben di peggio.
Super-riassumendo, lasciate perdere il doppiaggio italiano e godetevi Cloverfield in inglese: vi assicuro che le vostre orecchie vi ringrazieranno.

Sì, Beth abita lassù, in quella che ora è diventata la Torre di Pisa a New York.
VOTO
Dal 6 al 7. Cloverfield rimane un ottimo prodotto dal punto di vista tecnico: se siete appassionati di cinema, e soprattutto di tecniche cinematografiche, dovete concedergli una visione. Ai non-appassionati consiglio invece di passare oltre.

venerdì 18 marzo 2016

10 Cloverfield Lane - 2016

Un po' Misery non deve morire, un po' Room, un po' Lost durante la seconda stagione, 10 Cloverfield Lane è un thriller claustrofobico, o un esperimento in stile sindrome di Stoccolma finito male, se volete, con uno scenario apocalittico a fare da contorno.
Il film è un seguito-nonseguito (con gli accenti sulla 'e') di Cloverfield, il Gozzillone che nel 2008 è comparso dal nulla e ha distrutto New York. Ma qui siamo in Louisiana, giù al sud, qualche anno dopo; niente metropoli da radere al suolo, e niente mostri titanici all'orizzonte. O almeno così sembra.
Se vi piacciono le pellicole che vi fanno saltare sulla sedia, questo è il titolo per voi. Io l'ho trovato davvero ben realizzato (con qualche sbavatura, ma ne parliamo più avanti), e lo consiglio caldamente.
Inoltre, non è assolutamente necessario aver visto il predecessore per godersi appieno 10 Cloverfield Lane. In ogni caso, siccome in Italia il film uscirà soltanto tra un mesetto, perché non dare un'occhiata al buon vecchio Cloverfield nel frattempo? Vi assicuro che ne vale la pena.
E se avete ancora dei dubbi, tornate qui tra una settimana e leggetevi la mia recensione su Cloverfield.

COSA SUCCEDE AL NUMERO DIECI DI CLOVERFIELD LANE
Michelle lascia New Orleans dopo un litigio con il fidanzato; nella notte, la sua auto esce di strada dopo essere stata ripetutamente colpita da qualche cosa di indefinito. Quando Michelle si risveglia, scopre di trovarsi in un bunker sotterraneo, insieme a due uomini: Howard, sulla sessantina, costruttore e proprietario del bunker, ed Emmett, più o meno della stessa età di Michelle, vicino di casa di Howard.
Alla giovane donna viene raccontato che nelle ore precedenti si è scatenato l'inferno sulla terra: un attacco chimico, o forse nucleare, a opera di non si sa chi; potrebbero essere i Russi, o peggio ancora, extraterrestri. Michelle è viva solo grazie a Howard, il quale ha notato l'auto fuori strada prima di rifugiarsi nel suo bunker, e ha tratto la ragazza in salvo. Non c'è nulla da fare, sulla superficie sono morti tutti: Howard, Emmett e Michelle sono gli unici sopravvissuti.
Tuttavia c'è qualcosa di sospetto nel comportamento di Howard: quello che racconta corrisponde a verità, e quindi Michelle ed Emmett gli devono la vita, o i suoi sono solo i deliri di un pazzo che ha perduto completamente il contatto con il mondo reale? Michelle è intenzionata a scoprire cosa sia successo veramente là fuori.

COMMENTIAMO 10 CLOVERFIELD LANE
La pellicola è l'ultima arrivata della casa di produzione Bad Robot, fondata dal mio grande amico J.J. Abrams (che fa solo finta di non conoscermi, per esigenze di ordine pubblico). J.J. possiede il magico dono dell'artista visionario: creare mondi e storie verosimili nei contesti più disparati, e 10 Cloverfield Lane non fa eccezione.
La regia è stata affidata a un nuovo arrivato, il giovane Dan Trachtenberg (bel cognome: mi ricorda il suono che fanno i vecchi quando scatarrano sul bus), il quale dimostra un talento inaspettato dietro la macchina da presa. In particolar modo, il regista conosce molto bene come creare momenti di fortissima tensione: avete presente Kathy Bates in Misery non deve morire? Ecco, viaggiamo sullo stesso livello.
Il mondo di 10 Cloverfield Lane è quanto di più spoglio, scarno e incolore ci possa essere: un rifugio sotterraneo, e tre attori. Niente di più. L'intero dramma si svolge all'interno di questo fabbricato non più grande di una sessantina di metri quadrati, reso ancora più angusto dalla mole di Howard, il paranoico proprietario del bunker interpretato da quell'armadio che è John Goodman.
Tanto di cappello a John nel dar vita a un personaggio complesso quale è Howard, diviso tra un sincero desiderio di aiutare Michelle ed Emmett a sopravvivere negli anni futuri, e un'incapacità totale di comprendere le emozioni e i sentimenti altrui. Howard è più macchina che uomo; non solo per la sua stazza, ma anche per la sua assoluta assenza di espressioni facciali: non importa il suo stato d'animo, Howard mantiene sempre l'identico viso leggermente imbronciato dalla prima all'ultima scena. E' inquietante, perché noi spettatori ci rendiamo conto che è lui il capo, è lui che detiene il potere decisionale in quel rifugio sotto terra: ma come si può interagire con un individuo che non prova emozioni?

La ricetta è quella vincente per un thriller psicologico da cardiopalma: un'ambientazione dalle dimensioni ridotte, e un personaggio dal carattere imperscrutabile. Gli ingredienti funzionano, e posso assicurare che per l'intera durata del film si ha la sensazione di non essere mai al sicuro.
Poi arrivano i momenti in cui salti sulla sedia perché tutto ti aspetti, ma non quello, e ti rendi conto che 10 Cloverfield Lane sa anche farti spaventare a dovere.
Tutto sembra funzionare alla perfezione, dunque; tutto, meno un problema di ritmo nell'azione durante l'ultimo quarto d'ora. Senza rovinare la visione a nessuno, vi basti sapere che in 10 Cloverfield Lane vi sono due climax a distanza molto ravvicinata: il primo si risolve in maniera impeccabile, il secondo purtroppo è lento, confusionario e davvero poco credibile. Un gran peccato, perché si tratta proprio delle ultime scene, quando i nodi dell'intera vicenda vengono al pettine, e vedere il secondo climax risolversi in una maniera così amatoriale lascia in bocca un retrogusto che ha l'amaro sapore della delusione.
In ogni caso, bisogna ricordare che si tratta del primo lavoro di Dan Trachtenberg, e se queste sono le premesse, sono davvero curioso di vedere che cosa sarà in grado di realizzare con qualche anno di esperienza in più.

VOTO
7 e mezzo. Per essere alla sua prima esperienza come regista di un lungometraggio, Dan Trachtenberg ha svolto un lavoro invidiabile. Certo, c'è quel problemuccio del ritmo troppo lento sul finale che purtroppo va a incidere sul voto complessivo. Bravo comunque il regista, e bravi i tre attori principali.
Le personalità contorte vi affascinano? Sentite il bisogno di un'ora e mezza di genuina inquietudine? Allora rendete omaggio a 10 Cloverfield Lane e prenotate un posto in sala quando il film uscirà in Italia. Non ne rimarrete delusi.

mercoledì 16 marzo 2016

Robin Hood - Principe dei ladri - 1991

Finalmente sono riuscito a trovare un po’ di tempo per parlare di questo film. Ce l’avevo in testa fin da quando avevo letto la notizia che Alan Rickman ci aveva lasciati, un paio di mesi fa; non potevo non omaggiarlo con una delle sue migliori interpretazioni su grande schermo. Se avete amato la sua rappresentazione di Severus Snape nella saga di Harry Potter e non avete mai visto Robin Hood - Principe dei Ladri (d'ora in avanti abbreviato in Robin Hood), fatevi un piacere e recuperate questo film quanto prima. Perché Alan Rickman è semplicemente lo Sceriffo di Nottingham più ammaliante che esista.
All’epoca in cui uscì, questo film ebbe un successo strepitoso. Vuoi perché riusciva ad aggiungere tanta nuova carne al fuoco a una storia stra-conosciuta (e stra-raccontata) come quella di Robin Hood, vuoi perché Kevin Costner era all’apice della sua carriera, vuoi perché era un film d’avventura per ragazzi che strizzava l’occhio anche al pubblico femminile, fatto sta che nei primi anni Novanta chiunque, dai dieci ai cinquant’anni, ha visto Robin Hood. E se non l’avete visto, spiegatemi dove cazzo eravate.
A venticinque anni dalla sua realizzazione, però, quasi nessuno parla più di questo film. Sta lì, abbandonato in soffitta insieme ad altri cimeli dei primi anni Novanta come Thelma e Louise, Dracula di Bram Stoker o Pretty Woman.
Come mai è caduto nel dimenticatoio? E’ un film che vale la pena tenere in considerazione ancora oggi, o era semplicemente un prodotto del suo tempo che ha poco a che spartire con i gusti attuali?
Proviamo a riscoprirlo insieme.
Benvenuti a Carcasson... ehm, cioè, voglio dire, benvenuti a Nottingham!
COSA SUCCEDE IN ROBIN HOOD - PRINCIPE DEI LADRI
Dopo cinque anni di prigionia nelle galere del sultano in Terrasanta, Robin di Locksley riesce ad evadere e tornare in Inghilterra, accompagnato dal moro Azeem. L’incubo che lo attende in patria, tuttavia, è forse anche peggiore di quello che ha appena lasciato a Gerusalemme: lo sceriffo di Nottingham ha confiscato le terre dei Locksley e giustiziato il padre di Robin con l’accusa di essere un adoratore del diavolo.
Robin giura vendetta contro lo sceriffo e si rifugia nella foresta di Sherwood, dove incontra un gruppo di fuorilegge ricercati per furti e altri reati minori. Conquistato il loro rispetto e assunto il ruolo di capobanda, Robin si prende gioco della politica affamante dello sceriffo assaltando i suoi convogli carichi di ricchezze e distribuendo viveri e denaro alla povera gente della contea. Non solo; Robin scopre che lo sceriffo sta tramando alle spalle di re Riccardo, il legittimo sovrano d’Inghilterra al momento impegnato a combattere in Francia.
Robin chiede aiuto a Lady Marian, cugina di Riccardo, affinché avverta il re della congiura che sta per essere messa in atto ai suoi danni. Lo sceriffo, dal canto suo, ha in mente un piano scellerato per sbarazzarsi della banda di Robin una volta per tutte, e salire al trono d’Inghilterra.

La recensione si basa sull'edizione in Blu-ray del 2009.
Notare come in Germania Robin Hood faccia un avanzamento
di carriera niente male, passando da semplice principe a RE dei ladri.
COMMENTIAMO ROBIN HOOD - PRINCIPE DEI LADRI
Per rispondere alla domanda iniziale, se cioè il film sia ancora valido ai giorni nostri, l'unica cosa che mi viene da dire è: insomma...
Arranca, ma ce la fa.
Come dicevo, in questo Robin Hood le novità rispetto alle produzioni passate si sprecano.
La figura del principe Giovanni scompare, per far posto all'unico, vero antagonista di Robin: lo sceriffo di Nottingham. C'è poi il personaggio di Mortianna, una sorta di strega/indovina, che ha trasformato i sotterranei del castello di Nottingham nel suo antro dove praticare riti di magia nera. In linea generale, il tono del film volge decisamente verso il tenebroso: pure gli allegri compagni della foresta di Sherwood tanto allegri non sembrano in questa versione.
Nel XII secolo, quando i Testimoni di Geova venivano a citofonarti a casa, era una cosa seria.
Ma Robin Hood non è solo tenebra e mistero: c'è anche spazio per parlare di emancipazione femminile e rispetto delle minoranze. Sia a Lady Marian che al moro Azeem, infatti, viene lasciata molta libertà d'azione: una scelta che, per quanto già nel 1991 non fosse considerata rivoluzionaria, di certo non era usuale. Abbiamo quindi una storia cruenta e simultaneamente progressista, interpretata da attori carismatici (la maggior parte, almeno), e, quasi me ne stavo per dimenticare, una colonna sonora che spacca. Eccome se spacca.

Il cast è per la maggior parte quanto mai azzeccato. Lo so che mi sto ripetendo, ma se non avete mai visto questo film lo dovete fare solo per l'interpretazione di Alan Rickman nel ruolo dello sceriffo di Nottingham. Davvero, Alan Rickman vale da solo tutto il film; guardatelo mentre sbraita contro Robin, quando se la prende col primo malcapitato che si trova davanti, o quando invita le donne in camera sua: è un narciso cinico, spietato, e adorabile, un puma lasciato libero di vagare per il set, indomabile e affascinante al tempo stesso.
Ecco lo sceriffo nell'antro di Mortianna, in una delle scene aggiunte per l'edizione in Blu-ray.
C'è poi Azeem, il moro che deve la vita a Robin e che per questo motivo ha promesso di seguirlo in Inghilterra. Azeem, interpretato da Morgan Freeman, è la voce della ragione, l'amico che sa consigliarti saggiamente nel momento del bisogno; combattente coraggioso e leale, ingegnere esperto e meticoloso, Azeem non è la spalla di Robin, ma piuttosto il compagno insostituibile, l'asso nella manica che tutti vorrebbero avere. Dagli un compito, e lui lo eseguirà alla perfezione.
La recitazione di Morgan Freeman conferisce al personaggio di Azeem una delicatezza e una serenità interiore che lo rendono più simile a un asceta che non a un soldato (non per niente trova il suo complementare in Fra Tuck, l'altro "scapolo" del film). In poche parole, sia il regista che il suo interprete si danno un gran daffare nel presentarci questo barbaro venuto dall'est sotto la miglior luce possibile; e in effetti non si può non voler bene ad Azeem.
Purtroppo, per un eccesso di politically correct, Azeem risulta TROPPO perfetto: nel corso del film il nostro amico moro si dimostrerà essere: un esperto spadaccino (e ci mancherebbe), un uomo di scienza, un ingegnere civile, un chimico, e pure un chirurgo. Sembra quasi che il regista abbia voluto dire: "Voi bianchi presuntuosi che ritenete le altre culture inferiori alla vostra, guardate qua quanto erano avanti in Medio Oriente!" Solo che c'è modo e modo di ribadire una presa di posizione, e qua siamo sul moralismo spinto.
In fondo, è un eccesso di zelo che si può comunque perdonare, perché una volta che Morgan Freeman è entrato nel personaggio vogliamo essere lì con lui anche noi, ascoltare le sue storie e meravigliarci di fronte alla sua sapienza inesauribile.
Ecco Azeem nei panni del piccolo chimico che prepara una simpatica miscela esplosiva.
Ogni riferimento al terrorismo islamico è puramente casuale.
D'accordo, quindi abbiamo un cattivo in formissima, un deuteragonista carismatico, una controparte femminile emancipata e risoluta, personaggi di contorno divertenti ... non manca qualcosa in tutto questo? Sì, il difetto principe (il doppiosenso è voluto) di questo film: manca il protagonista, il perno su cui tutta la storia deve girare attorno.
Manca il protagonista e Kevin Costner, mi dispiace dirlo, non ce la fa.
C'è un qualcosa nella sua recitazione che è proprio fuori luogo; tutti gli altri attori danno prova di grande talento, lui... boh, è sempre distante, poco convinto di quello che fa o quello che dice.
Uno dei rarissimi momenti di relax in tutto il film. Il ragazzino Wulf sfoggia senza vergogna
quel taglio medio-lungo con frangia a sipario che ogni adolescente degli anni Novanta ha portato almeno una volta.
Avete presente la sospensione dell'incredulità? E' quando noi spettatori decidiamo di ignorare certe incongruenze o convenzioni all'interno di un film allo scopo di godercelo al meglio. Bene, io con Kevin Costner l'incredulità non riesco a sospenderla: vedo Mary Elizabeth Mastrantonio e penso "Ecco Lady Marian", vedo Morgan Freeman e penso "Ecco Azeem", vedo Alan Rickman e penso "Ecco lo sceriffo". Poi compare Robin Hood e penso "Ecco Kevin Costner".
E' un attore che in questo caso non si è calato nella parte, e ciò incide parecchio sul risultato finale, perché a soffrirne non è solo la storia, ma anche tutti i personaggi che devono interagire con lui.
A causa sua Robin Hood arranca, purtroppo. C'è poco da fare, Kevin Costner sta a questa pellicola come un brufolo sulla fronte sta al sabato sera. E' lì e te lo devi tenere; e tutti lo noteranno schifati.
Però c'è il finale che salva capra e cavoli; senza rovinare la trama a chi non l'ha ancora visto, l'ultima mezzora del film è un crescendo di tensione diretto in maniera magistrale, tra salvataggi all'ultimo secondo e duelli all'ultimo sangue. Che sia la prima o la decima volta che lo guardate, non si può rimanere indifferenti di fronte allo spettacolo messo in scena in quegli ultimi trenta minuti.
Pensate pure quello che volete, questa scena è epica. Punto.
In breve, se accantoniamo l'interpretazione inesistente di Kevin Costner e quel moralismo fin troppo esplicito che traspare dalla caratterizzazione di Azeem, Robin Hood rimane comunque un film piacevole. Violento ma anche romantico, crudele ma al tempo stesso divertente, è l'avventura perfetta per una serata in famiglia, fra amici, o anche soltanto a due.

IN CHE LINGUA LO GUARDO?
Quando Robin Hood uscì al cinema, la versione italiana poteva vantare un doppiaggio eccellente. Mi dispiace dare la brutta notizia, ma purtroppo tale versione non esiste più.
In occasione della messa in commercio della Extended Edition, che aggiunge circa quindici minuti di girato, l'intero film è stato ridoppiato dalla prima all'ultima scena. Il nuovo doppiaggio segue quasi alla lettera il copione originale del 1991, ma l'interpretazione è fredda, svogliata, a tratti robotica.
Provate a guardare in italiano Lady Marian che consegna a Robin il pugnale regalatole dallo sceriffo. In originale l'eroina si trova in evidente imbarazzo nel donare all'amato un oggetto ricevuto in dono da un altro uomo; in italiano invece di imbarazzante c'è l'interpretazione monocorde della doppiatrice.
No, il nuovo doppiaggio italiano è bocciato su tutta la linea.
Non che la versione originale sia priva di difetti, con tre quarti del cast che parla inglese British, e Kevin Costner invece che si esprime con accento americano. Se siete abituati a guardare film in inglese, vi renderete subito conto del contrasto. Almeno in questo caso la colpa non è del buon Costner: a quanto sembra, è stato il regista a volere che l'attore si esprimesse nel suo nativo accento californiano.
Forse non tutti sanno che Meriadoc Brandibuck era uno degli allegri compagni della foresta,
prima di trasferirsi nella Contea.
La traduzione in italiano, invece, è di buona qualità. Ho notato soltanto una piccola svista in un dialogo tra Lady Marian (sempre lei, poverina!) e Robin Hood. Ad un certo punto, Lady Marian dice:

"These years have left us many in need."

che nella versione italiana si trasforma in:
"Questi anni hanno reso molti di noi utili."

Ora, a meno che il termine "utile" abbia tra i suoi significati anche quello di "bisognoso", direi che la resa in italiano non è del tutto esatta. I sottotitoli correggono il tiro con un:

"In questi anni la povertà è aumentata."

Un po' libera come traduzione, ma di certo più vicina a quello che Lady Marian intendeva dire.

In conclusione, anche se non perfetta, la versione in inglese è di sicuro la migliore. Vi consiglio quindi di guardare Robin Hood in lingua originale.
Eccoli uno di fronte all'altro, il fuorilegge onesto e lo sceriffo corrotto, pronti a sfidarsi un'ultima volta.

VOTO
6 e mezzo.
Sì, in questi venticinque anni Robin Hood è invecchiato, e non sempre con dignità. Il film è ancora valido, ricco di sequenze memorabili e personaggi simpaticissimi. E la colonna sonora è da orgasmo. Purtroppo Kevin Costner quasi riesce a rovinare il tutto.
Guardatelo in compagnia di qualcuno a cui volete bene, e anche la visione ne gioverà.

giovedì 10 marzo 2016

Colonia - 2015

Dopo aver concluso la saga cinematografica di Harry Potter, la splendida Emma Watson si è dedicata ai progetti più disparati, dalla black comedy al genere biblico. Alcuni film sono stati accolti molto bene, altri... non esattamente. Al momento la sua filmografia post-Hogwarts ricorda un tracciato da montagne russe, tra salite, discese, e magari anche un sacchettino per vomitare a portata di mano.
Il film di oggi, Colonia, si colloca più verso gli alti, sebbene non raggiunga chissà quali vette di eccellenza. E' un thriller tutto europeo, e per il misero budget con cui è stato girato riesce a regalare momenti di genuino intrattenimento.
Al momento in cui scrivo la recensione non ho alcuna data per l'uscita in Italia di questo film: so che una distribuzione italiana esiste, quindi prima o poi uscirà. Se nel frattempo volete conoscere qualcosina in più su questa pellicola, continuate a leggere.

COSA SUCCEDE NELLA COLONIA
Lena è una giovane hostess della Lufthansa, in soggiorno a Santiago del Cile per una settimana nel settembre 1973. Nella capitale si incontra con il fidanzato Daniel, di professione fotografo, il quale ha abbandonato la Germania quattro mesi prima per documentare la difficile situazione cilena nei mesi precedenti il colpo di stato di Pinochet. Daniel è un convinto sostenitore del presidente Allende, nonché della linea di pensiero che la grave crisi economica in cui versa il Cile è dovuta a un intento criminoso degli Stati Uniti di spodestare un presidente scomodo eletto democraticamente.
Quando Pinochet e i suoi uomini mettono in atto il golpe che porta alla caduta del governo, Daniel e Lena vengono arrestati e trascinati allo stadio. Il giovane, nonostante la cittadinanza tedesca, viene additato come simpatizzante di Allende e portato via dai militari.
Lena non si perde d'animo e comincia a raccogliere indizi su dove possa essere stato condotto Daniel. Viene a conoscenza di un luogo remoto a sud della capitale, una rigidissima comunità religiosa chiamata "Colonia Dignidad", gestita da Paul Schäfer, un santone di origini tedesche e collaborazionista del governo Pinochet. A quanto sembra, i simpatizzanti di Allende sono tenuti prigionieri e torturati all'interno della colonia.
Lena decide quindi di entrare a far parte della comunità di Schäfer, nella speranza di ritrovare il suo fidanzato e tornare insieme in Germania.

COMMENTIAMO COLONIA
Meglio tagliare la testa al toro fin da subito: nella didascalia iniziale, Colonia si auto-definisce un film "Based on true events", che si può interpretare un po' come si vuole. Dal mio personale punto di vista, lo ritengo un "liberamente ispirato a vicende realmente accadute". Quindi per me Colonia non vuole essere un film storico, e non deve essere giudicato in quanto tale. Se per voi il realismo storico è una condizione imprescindibile, state alla larga da questa pellicola; se d'altro canto ritenete che un film possa prendersi qualche libertà, allora possiamo dare una breve occhiata a quali sono i punti di forza di Colonia, e anche a quali sono le sue magagne.

Colonia è, alla base, un thriller. Abbiamo due protagonisti coraggiosi e tenaci, un cattivo irredimibile, personaggi di contorno che c'hanno scritto "Io muoio" in fronte, e inseguimenti mozzafiato. Gli ingredienti ci sono, insomma, e sono quelli giusti. Il film dura circa un paio d'ore, e posso assicurare che non c'è un singolo momento morto: la storia prosegue a ritmi serrati, c'è sempre un nuovo segreto da scoprire all'interno della colonia, e l'interesse dello spettatore è mantenuto vivo.

Ci sono due grossi problemi, tuttavia, alla base di questo film. Il primo è che l'intera storia olezza di "già visto centinaia di volte" da parecchi chilometri di distanza. Non c'è nulla in questo film che non sia già stato trattato da altri esponenti del genere, pure con maggiore effetto oserei dire (e tra gli esponenti includo anche serie TV come Prison Break). Non solo, Colonia preferisce giocare molto sul sicuro, al contrario di tanti altri film in cui gli eroi si trovano effettivamente in condizioni psicologicamente stressanti.
Sarà per la necessità di concentrare quattro mesi di vicende in due ore, sarà per l'interpretazione sottotono di Michael Nyqvist nel ruolo del cattivo, fatto sta che non abbiamo mai l'impressione che Daniel e Lena si trovino davvero in pericolo; assistiamo sì a episodi di abusi, sia verbali che fisici, ma sembrano più amichevoli pacche sulle spalle che non truci rappresentazioni di quella ferocia e sadismo che hanno caratterizzato la dittatura di Pinochet.

L'altro grosso problema risiede nel ritmo del film. Come ho accennato qui sopra, il soggiorno forzato di Lena e Daniel all'interno di "Colonia Dignidad" dura all'incirca quattro mesi. La pellicola tenta, in maniera piuttosto maldestra, di condensare questi quattro mesi in poco meno di due ore. In poche parole, ogni scena viene presentata secondo un'identica scaletta: dapprima sullo schermo appare una planimetria della colonia con a fianco il numero di giorni trascorsi da Lena al suo interno; poi assistiamo a una scena di pochi minuti in cui ai buoni succede qualcosa, o nella quale il cattivo si appresta a compiere qualche gesto eticamente discutibile. Tuttavia non vediamo mai le conseguenze di tali azioni, perché è già l'ora della prossima planimetria e della prossima scena.
Lena disobbedisce alla superiora; verrà punita o non verrà punita? Boh, non lo sappiamo.
Ai membri della comunità vengono somministrate ogni giorno delle pillole; quali sono i loro effetti? Boh, possiamo solo immaginarlo.
E via di questo passo.
 
Ironicamente, è il cattivo Paul Schäfer la vittima principale del modo in cui le scene sono costruite. Il personaggio reale era un pedofilo psicopatico in combutta con la dittatura di Pinochet, che per decenni ha avuto totale potere di vita e di morte sui membri della comunità religiosa da lui fondata. Con una personalità del genere ti puoi sbizzarrire a più non posso, se ti chiami Stephen King o Carlo Lucarelli. Se invece sei Florian Gallenberger e hai a disposizione un budget ridotto, devi sacrificare la psicologia di Schäfer a favore della trama. In pratica, a causa del ritmo serrato del film, Paul Schäfer ne esce irrimediabilmente ridimensionato, un leone con la dentiera che non fa paura a nessuno.

Riassumendo il tutto, ho come l'impressione che se invece di un film avessero prodotto una miniserie in sei-otto puntate, il regista avrebbe potuto sviluppare in maniera più soddisfacente la caratterizzazione dei personaggi principali, così come le varie sotto-trame che coinvolgono gli altri membri della comunità.
Così com'è, Colonia è la dimostrazione che si può realizzare un thriller di discreta fattura anche con pochi soldi, e nulla più.

La locandina del film per la distribuzione in Lussemburgo

VOTO
Dal 6 al 7. Non c'è nulla che non funzioni in questo film: è avvincente, mai noioso, esattamente come un thriller deve essere. E' semplicemente tutto troppo prevedibile. Allo stesso tempo, le vicende sono parecchio edulcorate rispetto alla realtà di quanto è avvenuto all'interno di "Colonia Dignidad".
Da cineforum, ma solo se non ci sono altri argomenti di cui parlare.

martedì 8 marzo 2016

Anomalisa - 2015

Disagio. Questo film me ne ha messo tanto.
Anomalisa è il lavoro più recente di Charlie Kaufman, lo sceneggiatore di Essere John Malkovich e Se mi lasci ti cancello, per intenderci. Sono entrato in sala con la consapevolezza che avrei assistito a qualcosa di surreale, inverosimile, anche alienante, conoscendo Kaufman; e nonostante tutta la preparazione psicologica, sono uscito dal film con un gran "Che cazzo ho appena visto?" stampato in faccia.
Mentre mi accingo a buttar giù qualche impressione a caldo, mi chiedo se il film mi sia piaciuto o meno. Stranamente al momento non mi so dare una risposta; chissà se alla fine della recensione riuscirò almeno a dare un voto a questo film.
Come d'abitudine, cominciamo con un piccolo accenno alla trama.

COSA SUCCEDE IN ANOMALISA
Michael Stone è un affermato scrittore di manuali per la crescita personale, giunto a Cincinnati per partecipare a una conferenza sul tema "assistenza al cliente".
Nonostante la sua fama di autore dal talento straordinario nel "leggere" le persone, l'uomo si trova in evidente difficoltà a interagire con chi gli sta intorno. Non solo: Michael si vede circondato da individui completamente identici, tutti con lo stesso volto e la stessa voce maschile, a prescindere che essi siano donne o uomini, giovani o anziani. Perfino sua moglie e suo figlio non fanno eccezione.
Arrivato all'hotel che ha prenotato per passare la notte, Michael è perseguitato dai ricordi di una sua vecchia fiamma, Bella, che lui ha lasciato di punto in bianco un giorno senza alcuna spiegazione. I due si incontrano nel bar dell'albergo, ma l'incapacità di Michael di motivare il suo abbandono, nonché la sua proposta improvvisa di proseguire la conversazione in camera da letto portano Bella su tutte le furie. L'ex-fidanzata esce dal bar lasciando Michael solo.
In seguito l'uomo si imbatte per caso in una giovane donna di nome Lisa, unica "diversa" in un mondo popolato da individui tutti uguali. In Michael scatta un desiderio irrefrenabile di sapere tutto su di lei, e la invita in camera sua. Lisa è incerta sul da farsi, ma l'attrazione per Michael vince la sua insicurezza e i due passano la notte assieme.
L'indomani, giorno della conferenza, Michael si ritrova combattuto tra l'accattivante prospettiva di un futuro assieme a Lisa, e il dubbio che la giovane donna non sia quella persona "unica" che gli era sembrata la sera precedente.

COMMENTIAMO ANOMALISA
Anomalisa è un film in stop-motion con pupazzi animati. A differenza di tanti altri esponenti di questo genere, come Coraline e la porta magica o Nightmare Before Christmas, dove l'estetica si avvicina più a quella di un cartone animato, in Anomalisa è il realismo a far da padrone. O meglio, una raffigurazione del mondo reale costruita in base ai limiti che la tecnica stop-motion comporta.
Il risultato finale, pupazzi dalle fattezze umane che si muovono e interagiscono in maniera non sempre naturale, alimenta quella sensazione di disagio che accennavo all'inizio del post. Il disagio comincia a farti compagnia fin dai primi fotogrammi del film e non ti abbandona nemmeno quando i titoli di coda sono terminati.
Questa spiacevole sensazione è facilmente identificabile nel concetto di uncanny valley (cliccate sul termine per la definizione su Wikipedia), e sono più che sicuro che Kaufman ricercasse proprio questo effetto durante la realizzazione di Anomalisa.

Non voglio soffermarmi sui vari dettagli che rendono questa pellicola un compendio di uncanny valley: ritengo che molti aspetti del film debbano essere sperimentati in prima persona, senza preconcetti. D'altronde, pure io sono andato a vedere questo film a mente completamente aperta: niente lettura di recensioni, niente sbirciatine alla trama, mi sono soltanto concesso la visione del trailer, che potete trovare qui sotto.
Diciamo solo che già il film di per sé non brilla di ottimismo, se ci metti pure questa estetica realistica che al tempo stesso non può essere realistica proprio per come il film è girato, crei un'opera di sicuro sorprendente, ma più per l'amaro che ti lascia dentro.
Andate a vedere questo film, osservate per bene le fattezze del volto dei vari personaggi, e poi ne riparliamo.

Una chicca che ho scoperto mentre tornavo a casa è un riferimento al trasformista italiano Leopoldo Fregoli nel nome dell'albergo in cui Michael a Lisa alloggiano: il Fregoli, appunto.1
Esiste una rara malattia psichiatrica definita come "sindrome di Fregoli", in cui la persona affetta è convinta di essere perseguitata da un individuo capace di assumere le fattezze altrui.
Michael potrebbe quindi essere affetto da questa sindrome, in quanto vede le persone intorno a lui come mera fotocopia l'una dell'altra, tutte riconducibili a un individuo dagli occhi azzurri e il sorriso vagamente pronunciato.

Anomalisa non si presta a facili interpretazioni: ciò che è certo è che abbiamo due individui "unici", Michael e Lisa, con caratteristiche fisiche ben definite e immersi in un marea di persone tutte uguali. Una prima interpretazione potrebbe essere che il motivo per cui ci innamoriamo è proprio questo: e cioè che quando troviamo la nostra "anima gemella", essa ci appare differente da chiunque altra.
Tuttavia, se teniamo in considerazione il nome dell'albergo e la patologia a cui si associa, allora Anomalisa diventa la storia di un uomo in preda al delirio, il quale ritrova temporaneamente la sanità mentale grazie all'incontro fortuito con una giovane donna piena di complessi.
Il film semina indizi qua e là a favore sia della prima che della seconda interpretazione, senza mai propendere per l'una o per l'altra. Sta a noi spettatori trovare la spiegazione che riteniamo più appropriata. In bocca al lupo nel capire qual è: per quanto mi riguarda, credo che ci rimuginerò sopra per una settimana buona.

VOTO
7 pieno. Vado leggermente in controtendenza rispetto alla maggioranza delle recensioni. Anomalisa è un film che di sicuro ti rimane dentro, e presenta innumerevoli chiavi di interpretazione (ben più di quei pochi spunti che ho a malapena abbozzato in questa breve recensione). Il prezzo da pagare per questo viaggio alla ricerca della persona unica, tuttavia, è una pesante dose di disagio iniettato direttamente in vena.
E' un film che vale la pena vedere? Sì, certamente.
Me lo riguarderei? Ah ah ah ah ah! No.





1 Per qualche arcano motivo, nella versione inglese il nome viene pronunciato talvolta "fregòli" e talvolta "fre-jolie". Ma gli stupri alla lingua italiana non si fermano qui: il peggio lo raggiunge Lisa quando cerca di pronunciare "Le ragazze vogliono il meglio", cannando ogni singolo accento. Aggiungo questi stupri alla lista dei "fattori disagio".

giovedì 3 marzo 2016

Room - 2015

Questo film è una meraviglia.
Quella meraviglia che devi sempre sentirti dentro se vuoi scoprire il mondo, parafrasando Platone.
Room trae ispirazione da una vicenda realmente accaduta non molto tempo fa in una cittadina austriaca, conosciuta in tutto il mondo come il caso Fritzl: una giovane donna tenuta prigioniera per anni nello scantinato di casa dal padre e costretta ad avere continuamente rapporti incestuosi con lui.
Mi ricordo che, quando qualche anno fa il caso venne alla luce, non riuscivo a trovare le parole per esprimere il mio sgomento di fronte a quanto era accaduto. In maniera molto simile, dare un nome alle emozioni che ho provato mentre guardavo le scene che si susseguivano sullo schermo non è facile.
In una parola soltanto, Room è affascinante; come solo l'amore e l'orrore possono essere.

COSA SUCCEDE NELLA STANZA
Joy e il figlio Jack vivono segregati in un capannone non più grande di dodici-tredici metri quadrati. Joy è stata rapita da uno squilibrato sette anni or sono, quando la ragazza era appena diciassettenne; Jack, invece, è nato nel capannone e non ha mai visto nulla del mondo di fuori. Anzi, per lui il "fuori" non esiste, il mondo reale è formato dal Letto, l'Armadio, il Lavandino, la Vasca da bagno, la Cucina, e la Mamma. Fuori c'è lo Spazio, il vuoto assoluto, e più lontano ancora c'è il Paradiso.
L'unico altro essere umano che Jack conosce è l'uomo che ha sequestrato sua madre, e che viene ogni sera a portare del cibo e ad abusare della ragazza.
Quando Jack compie cinque anni, Joy decide di rivelargli la verità: fuori dalla porta del capannone c'è un mondo intero, popolato di persone, animali, automobili, alberi e tanto altro ancora. Joy da sola non può avere la meglio sul suo sequestratore, ma insieme al figlio elabora un piano disperato per fuggire dal capannone e ritrovare la libertà.
Il piano miracolosamente riesce; la polizia arresta l'uomo e l'incubo della prigionia ha termine. Ora davanti a Joy e Jack si presenta una nuova sfida: la madre deve riadattarsi al mondo di fuori, mentre il bambino deve imparare a conoscerlo per la prima volta. Se per Jack, superato un primo periodo traumatico, il processo è relativamente semplice, per Joy il percorso di riabilitazione è assai più difficoltoso.

COMMENTIAMO ROOM
Le impressioni a caldo sono moltissime, tanto che non è facile spiegare in poche righe perché questo film è una meraviglia.
Cominciamo da Jack, il bambino nato nel capannone. Tanto di cappello a Jacob Tremblay, il piccolo attore che interpreta questo personaggio. Come in Revenant l'intera narrazione poggia sulle spalle di Leonardo DiCaprio, così in Room è Jacob Tremblay a portare avanti l'intera vicenda. Uno sfoggio di talento e professionalità mica da poco, e sto parlando di un attore che ha soltanto nove anni! Jacob, ascoltami: continua così che sei un fenomeno e non diventarmi un altro Macaulay Culkin. Te lo chiedo col cuore.
Poi c'è Brie Larson, la mamma, premiata con l'Oscar come miglior attrice protagonista (a quanto pare nessuno sapeva come pronunciare Saoirse Ronan); la sua metamorfosi da persona affettuosa, razionale e ottimista nonostante le avversità, a creatura fragile, insicura e scostante proprio quando si trova al sicuro è terribilmente splendida. A parte certi sguardi da spiritata che mi ricordavano Helena Bonham Carter, ma possiamo sorvolare.

In ogni caso, il protagonista assodato del film è il piccolo Jack, inconsapevole eroe di un moderno mito della caverna. Dapprima c'è la Stanza, che è fatta di persone e cose vere, mentre tutto quello che si vede in televisione è finto; il fuori non esiste, c'è solo lo Spazio vuoto. Poi d'un tratto arriva il mondo, quello che nella mente di Jack era solo finzione, ma che invece è reale e tangibile. E il mondo è abbagliante, caotico, infinito, tanto che il tempo a disposizione per viverlo non è mai abbastanza.
Sono concetti di una complessità enorme, a cui Jack cerca di dare una spiegazione nei suoi monologhi dove si fondono intuizione e ingenuità, in quella logica illogica che solo un bambino può ideare.

Per la brutalità della sua storia e l'interpretazione degli attori, Room è una pellicola che mi ha sorpreso, e molto. E' uno di quei film che riesce a farti provare lo stupore più autentico; proprio quando pensavi di aver ormai visto tutto.

VOTO
8 e mezzo. Godetevi questo gioiello e rimanete a bocca aperta anche voi insieme a Jack.