venerdì 18 marzo 2016

10 Cloverfield Lane - 2016

Un po' Misery non deve morire, un po' Room, un po' Lost durante la seconda stagione, 10 Cloverfield Lane è un thriller claustrofobico, o un esperimento in stile sindrome di Stoccolma finito male, se volete, con uno scenario apocalittico a fare da contorno.
Il film è un seguito-nonseguito (con gli accenti sulla 'e') di Cloverfield, il Gozzillone che nel 2008 è comparso dal nulla e ha distrutto New York. Ma qui siamo in Louisiana, giù al sud, qualche anno dopo; niente metropoli da radere al suolo, e niente mostri titanici all'orizzonte. O almeno così sembra.
Se vi piacciono le pellicole che vi fanno saltare sulla sedia, questo è il titolo per voi. Io l'ho trovato davvero ben realizzato (con qualche sbavatura, ma ne parliamo più avanti), e lo consiglio caldamente.
Inoltre, non è assolutamente necessario aver visto il predecessore per godersi appieno 10 Cloverfield Lane. In ogni caso, siccome in Italia il film uscirà soltanto tra un mesetto, perché non dare un'occhiata al buon vecchio Cloverfield nel frattempo? Vi assicuro che ne vale la pena.
E se avete ancora dei dubbi, tornate qui tra una settimana e leggetevi la mia recensione su Cloverfield.

COSA SUCCEDE AL NUMERO DIECI DI CLOVERFIELD LANE
Michelle lascia New Orleans dopo un litigio con il fidanzato; nella notte, la sua auto esce di strada dopo essere stata ripetutamente colpita da qualche cosa di indefinito. Quando Michelle si risveglia, scopre di trovarsi in un bunker sotterraneo, insieme a due uomini: Howard, sulla sessantina, costruttore e proprietario del bunker, ed Emmett, più o meno della stessa età di Michelle, vicino di casa di Howard.
Alla giovane donna viene raccontato che nelle ore precedenti si è scatenato l'inferno sulla terra: un attacco chimico, o forse nucleare, a opera di non si sa chi; potrebbero essere i Russi, o peggio ancora, extraterrestri. Michelle è viva solo grazie a Howard, il quale ha notato l'auto fuori strada prima di rifugiarsi nel suo bunker, e ha tratto la ragazza in salvo. Non c'è nulla da fare, sulla superficie sono morti tutti: Howard, Emmett e Michelle sono gli unici sopravvissuti.
Tuttavia c'è qualcosa di sospetto nel comportamento di Howard: quello che racconta corrisponde a verità, e quindi Michelle ed Emmett gli devono la vita, o i suoi sono solo i deliri di un pazzo che ha perduto completamente il contatto con il mondo reale? Michelle è intenzionata a scoprire cosa sia successo veramente là fuori.

COMMENTIAMO 10 CLOVERFIELD LANE
La pellicola è l'ultima arrivata della casa di produzione Bad Robot, fondata dal mio grande amico J.J. Abrams (che fa solo finta di non conoscermi, per esigenze di ordine pubblico). J.J. possiede il magico dono dell'artista visionario: creare mondi e storie verosimili nei contesti più disparati, e 10 Cloverfield Lane non fa eccezione.
La regia è stata affidata a un nuovo arrivato, il giovane Dan Trachtenberg (bel cognome: mi ricorda il suono che fanno i vecchi quando scatarrano sul bus), il quale dimostra un talento inaspettato dietro la macchina da presa. In particolar modo, il regista conosce molto bene come creare momenti di fortissima tensione: avete presente Kathy Bates in Misery non deve morire? Ecco, viaggiamo sullo stesso livello.
Il mondo di 10 Cloverfield Lane è quanto di più spoglio, scarno e incolore ci possa essere: un rifugio sotterraneo, e tre attori. Niente di più. L'intero dramma si svolge all'interno di questo fabbricato non più grande di una sessantina di metri quadrati, reso ancora più angusto dalla mole di Howard, il paranoico proprietario del bunker interpretato da quell'armadio che è John Goodman.
Tanto di cappello a John nel dar vita a un personaggio complesso quale è Howard, diviso tra un sincero desiderio di aiutare Michelle ed Emmett a sopravvivere negli anni futuri, e un'incapacità totale di comprendere le emozioni e i sentimenti altrui. Howard è più macchina che uomo; non solo per la sua stazza, ma anche per la sua assoluta assenza di espressioni facciali: non importa il suo stato d'animo, Howard mantiene sempre l'identico viso leggermente imbronciato dalla prima all'ultima scena. E' inquietante, perché noi spettatori ci rendiamo conto che è lui il capo, è lui che detiene il potere decisionale in quel rifugio sotto terra: ma come si può interagire con un individuo che non prova emozioni?

La ricetta è quella vincente per un thriller psicologico da cardiopalma: un'ambientazione dalle dimensioni ridotte, e un personaggio dal carattere imperscrutabile. Gli ingredienti funzionano, e posso assicurare che per l'intera durata del film si ha la sensazione di non essere mai al sicuro.
Poi arrivano i momenti in cui salti sulla sedia perché tutto ti aspetti, ma non quello, e ti rendi conto che 10 Cloverfield Lane sa anche farti spaventare a dovere.
Tutto sembra funzionare alla perfezione, dunque; tutto, meno un problema di ritmo nell'azione durante l'ultimo quarto d'ora. Senza rovinare la visione a nessuno, vi basti sapere che in 10 Cloverfield Lane vi sono due climax a distanza molto ravvicinata: il primo si risolve in maniera impeccabile, il secondo purtroppo è lento, confusionario e davvero poco credibile. Un gran peccato, perché si tratta proprio delle ultime scene, quando i nodi dell'intera vicenda vengono al pettine, e vedere il secondo climax risolversi in una maniera così amatoriale lascia in bocca un retrogusto che ha l'amaro sapore della delusione.
In ogni caso, bisogna ricordare che si tratta del primo lavoro di Dan Trachtenberg, e se queste sono le premesse, sono davvero curioso di vedere che cosa sarà in grado di realizzare con qualche anno di esperienza in più.

VOTO
7 e mezzo. Per essere alla sua prima esperienza come regista di un lungometraggio, Dan Trachtenberg ha svolto un lavoro invidiabile. Certo, c'è quel problemuccio del ritmo troppo lento sul finale che purtroppo va a incidere sul voto complessivo. Bravo comunque il regista, e bravi i tre attori principali.
Le personalità contorte vi affascinano? Sentite il bisogno di un'ora e mezza di genuina inquietudine? Allora rendete omaggio a 10 Cloverfield Lane e prenotate un posto in sala quando il film uscirà in Italia. Non ne rimarrete delusi.

mercoledì 16 marzo 2016

Robin Hood - Principe dei ladri - 1991

Finalmente sono riuscito a trovare un po’ di tempo per parlare di questo film. Ce l’avevo in testa fin da quando avevo letto la notizia che Alan Rickman ci aveva lasciati, un paio di mesi fa; non potevo non omaggiarlo con una delle sue migliori interpretazioni su grande schermo. Se avete amato la sua rappresentazione di Severus Snape nella saga di Harry Potter e non avete mai visto Robin Hood - Principe dei Ladri (d'ora in avanti abbreviato in Robin Hood), fatevi un piacere e recuperate questo film quanto prima. Perché Alan Rickman è semplicemente lo Sceriffo di Nottingham più ammaliante che esista.
All’epoca in cui uscì, questo film ebbe un successo strepitoso. Vuoi perché riusciva ad aggiungere tanta nuova carne al fuoco a una storia stra-conosciuta (e stra-raccontata) come quella di Robin Hood, vuoi perché Kevin Costner era all’apice della sua carriera, vuoi perché era un film d’avventura per ragazzi che strizzava l’occhio anche al pubblico femminile, fatto sta che nei primi anni Novanta chiunque, dai dieci ai cinquant’anni, ha visto Robin Hood. E se non l’avete visto, spiegatemi dove cazzo eravate.
A venticinque anni dalla sua realizzazione, però, quasi nessuno parla più di questo film. Sta lì, abbandonato in soffitta insieme ad altri cimeli dei primi anni Novanta come Thelma e Louise, Dracula di Bram Stoker o Pretty Woman.
Come mai è caduto nel dimenticatoio? E’ un film che vale la pena tenere in considerazione ancora oggi, o era semplicemente un prodotto del suo tempo che ha poco a che spartire con i gusti attuali?
Proviamo a riscoprirlo insieme.
Benvenuti a Carcasson... ehm, cioè, voglio dire, benvenuti a Nottingham!
COSA SUCCEDE IN ROBIN HOOD - PRINCIPE DEI LADRI
Dopo cinque anni di prigionia nelle galere del sultano in Terrasanta, Robin di Locksley riesce ad evadere e tornare in Inghilterra, accompagnato dal moro Azeem. L’incubo che lo attende in patria, tuttavia, è forse anche peggiore di quello che ha appena lasciato a Gerusalemme: lo sceriffo di Nottingham ha confiscato le terre dei Locksley e giustiziato il padre di Robin con l’accusa di essere un adoratore del diavolo.
Robin giura vendetta contro lo sceriffo e si rifugia nella foresta di Sherwood, dove incontra un gruppo di fuorilegge ricercati per furti e altri reati minori. Conquistato il loro rispetto e assunto il ruolo di capobanda, Robin si prende gioco della politica affamante dello sceriffo assaltando i suoi convogli carichi di ricchezze e distribuendo viveri e denaro alla povera gente della contea. Non solo; Robin scopre che lo sceriffo sta tramando alle spalle di re Riccardo, il legittimo sovrano d’Inghilterra al momento impegnato a combattere in Francia.
Robin chiede aiuto a Lady Marian, cugina di Riccardo, affinché avverta il re della congiura che sta per essere messa in atto ai suoi danni. Lo sceriffo, dal canto suo, ha in mente un piano scellerato per sbarazzarsi della banda di Robin una volta per tutte, e salire al trono d’Inghilterra.

La recensione si basa sull'edizione in Blu-ray del 2009.
Notare come in Germania Robin Hood faccia un avanzamento
di carriera niente male, passando da semplice principe a RE dei ladri.
COMMENTIAMO ROBIN HOOD - PRINCIPE DEI LADRI
Per rispondere alla domanda iniziale, se cioè il film sia ancora valido ai giorni nostri, l'unica cosa che mi viene da dire è: insomma...
Arranca, ma ce la fa.
Come dicevo, in questo Robin Hood le novità rispetto alle produzioni passate si sprecano.
La figura del principe Giovanni scompare, per far posto all'unico, vero antagonista di Robin: lo sceriffo di Nottingham. C'è poi il personaggio di Mortianna, una sorta di strega/indovina, che ha trasformato i sotterranei del castello di Nottingham nel suo antro dove praticare riti di magia nera. In linea generale, il tono del film volge decisamente verso il tenebroso: pure gli allegri compagni della foresta di Sherwood tanto allegri non sembrano in questa versione.
Nel XII secolo, quando i Testimoni di Geova venivano a citofonarti a casa, era una cosa seria.
Ma Robin Hood non è solo tenebra e mistero: c'è anche spazio per parlare di emancipazione femminile e rispetto delle minoranze. Sia a Lady Marian che al moro Azeem, infatti, viene lasciata molta libertà d'azione: una scelta che, per quanto già nel 1991 non fosse considerata rivoluzionaria, di certo non era usuale. Abbiamo quindi una storia cruenta e simultaneamente progressista, interpretata da attori carismatici (la maggior parte, almeno), e, quasi me ne stavo per dimenticare, una colonna sonora che spacca. Eccome se spacca.

Il cast è per la maggior parte quanto mai azzeccato. Lo so che mi sto ripetendo, ma se non avete mai visto questo film lo dovete fare solo per l'interpretazione di Alan Rickman nel ruolo dello sceriffo di Nottingham. Davvero, Alan Rickman vale da solo tutto il film; guardatelo mentre sbraita contro Robin, quando se la prende col primo malcapitato che si trova davanti, o quando invita le donne in camera sua: è un narciso cinico, spietato, e adorabile, un puma lasciato libero di vagare per il set, indomabile e affascinante al tempo stesso.
Ecco lo sceriffo nell'antro di Mortianna, in una delle scene aggiunte per l'edizione in Blu-ray.
C'è poi Azeem, il moro che deve la vita a Robin e che per questo motivo ha promesso di seguirlo in Inghilterra. Azeem, interpretato da Morgan Freeman, è la voce della ragione, l'amico che sa consigliarti saggiamente nel momento del bisogno; combattente coraggioso e leale, ingegnere esperto e meticoloso, Azeem non è la spalla di Robin, ma piuttosto il compagno insostituibile, l'asso nella manica che tutti vorrebbero avere. Dagli un compito, e lui lo eseguirà alla perfezione.
La recitazione di Morgan Freeman conferisce al personaggio di Azeem una delicatezza e una serenità interiore che lo rendono più simile a un asceta che non a un soldato (non per niente trova il suo complementare in Fra Tuck, l'altro "scapolo" del film). In poche parole, sia il regista che il suo interprete si danno un gran daffare nel presentarci questo barbaro venuto dall'est sotto la miglior luce possibile; e in effetti non si può non voler bene ad Azeem.
Purtroppo, per un eccesso di politically correct, Azeem risulta TROPPO perfetto: nel corso del film il nostro amico moro si dimostrerà essere: un esperto spadaccino (e ci mancherebbe), un uomo di scienza, un ingegnere civile, un chimico, e pure un chirurgo. Sembra quasi che il regista abbia voluto dire: "Voi bianchi presuntuosi che ritenete le altre culture inferiori alla vostra, guardate qua quanto erano avanti in Medio Oriente!" Solo che c'è modo e modo di ribadire una presa di posizione, e qua siamo sul moralismo spinto.
In fondo, è un eccesso di zelo che si può comunque perdonare, perché una volta che Morgan Freeman è entrato nel personaggio vogliamo essere lì con lui anche noi, ascoltare le sue storie e meravigliarci di fronte alla sua sapienza inesauribile.
Ecco Azeem nei panni del piccolo chimico che prepara una simpatica miscela esplosiva.
Ogni riferimento al terrorismo islamico è puramente casuale.
D'accordo, quindi abbiamo un cattivo in formissima, un deuteragonista carismatico, una controparte femminile emancipata e risoluta, personaggi di contorno divertenti ... non manca qualcosa in tutto questo? Sì, il difetto principe (il doppiosenso è voluto) di questo film: manca il protagonista, il perno su cui tutta la storia deve girare attorno.
Manca il protagonista e Kevin Costner, mi dispiace dirlo, non ce la fa.
C'è un qualcosa nella sua recitazione che è proprio fuori luogo; tutti gli altri attori danno prova di grande talento, lui... boh, è sempre distante, poco convinto di quello che fa o quello che dice.
Uno dei rarissimi momenti di relax in tutto il film. Il ragazzino Wulf sfoggia senza vergogna
quel taglio medio-lungo con frangia a sipario che ogni adolescente degli anni Novanta ha portato almeno una volta.
Avete presente la sospensione dell'incredulità? E' quando noi spettatori decidiamo di ignorare certe incongruenze o convenzioni all'interno di un film allo scopo di godercelo al meglio. Bene, io con Kevin Costner l'incredulità non riesco a sospenderla: vedo Mary Elizabeth Mastrantonio e penso "Ecco Lady Marian", vedo Morgan Freeman e penso "Ecco Azeem", vedo Alan Rickman e penso "Ecco lo sceriffo". Poi compare Robin Hood e penso "Ecco Kevin Costner".
E' un attore che in questo caso non si è calato nella parte, e ciò incide parecchio sul risultato finale, perché a soffrirne non è solo la storia, ma anche tutti i personaggi che devono interagire con lui.
A causa sua Robin Hood arranca, purtroppo. C'è poco da fare, Kevin Costner sta a questa pellicola come un brufolo sulla fronte sta al sabato sera. E' lì e te lo devi tenere; e tutti lo noteranno schifati.
Però c'è il finale che salva capra e cavoli; senza rovinare la trama a chi non l'ha ancora visto, l'ultima mezzora del film è un crescendo di tensione diretto in maniera magistrale, tra salvataggi all'ultimo secondo e duelli all'ultimo sangue. Che sia la prima o la decima volta che lo guardate, non si può rimanere indifferenti di fronte allo spettacolo messo in scena in quegli ultimi trenta minuti.
Pensate pure quello che volete, questa scena è epica. Punto.
In breve, se accantoniamo l'interpretazione inesistente di Kevin Costner e quel moralismo fin troppo esplicito che traspare dalla caratterizzazione di Azeem, Robin Hood rimane comunque un film piacevole. Violento ma anche romantico, crudele ma al tempo stesso divertente, è l'avventura perfetta per una serata in famiglia, fra amici, o anche soltanto a due.

IN CHE LINGUA LO GUARDO?
Quando Robin Hood uscì al cinema, la versione italiana poteva vantare un doppiaggio eccellente. Mi dispiace dare la brutta notizia, ma purtroppo tale versione non esiste più.
In occasione della messa in commercio della Extended Edition, che aggiunge circa quindici minuti di girato, l'intero film è stato ridoppiato dalla prima all'ultima scena. Il nuovo doppiaggio segue quasi alla lettera il copione originale del 1991, ma l'interpretazione è fredda, svogliata, a tratti robotica.
Provate a guardare in italiano Lady Marian che consegna a Robin il pugnale regalatole dallo sceriffo. In originale l'eroina si trova in evidente imbarazzo nel donare all'amato un oggetto ricevuto in dono da un altro uomo; in italiano invece di imbarazzante c'è l'interpretazione monocorde della doppiatrice.
No, il nuovo doppiaggio italiano è bocciato su tutta la linea.
Non che la versione originale sia priva di difetti, con tre quarti del cast che parla inglese British, e Kevin Costner invece che si esprime con accento americano. Se siete abituati a guardare film in inglese, vi renderete subito conto del contrasto. Almeno in questo caso la colpa non è del buon Costner: a quanto sembra, è stato il regista a volere che l'attore si esprimesse nel suo nativo accento californiano.
Forse non tutti sanno che Meriadoc Brandibuck era uno degli allegri compagni della foresta,
prima di trasferirsi nella Contea.
La traduzione in italiano, invece, è di buona qualità. Ho notato soltanto una piccola svista in un dialogo tra Lady Marian (sempre lei, poverina!) e Robin Hood. Ad un certo punto, Lady Marian dice:

"These years have left us many in need."

che nella versione italiana si trasforma in:
"Questi anni hanno reso molti di noi utili."

Ora, a meno che il termine "utile" abbia tra i suoi significati anche quello di "bisognoso", direi che la resa in italiano non è del tutto esatta. I sottotitoli correggono il tiro con un:

"In questi anni la povertà è aumentata."

Un po' libera come traduzione, ma di certo più vicina a quello che Lady Marian intendeva dire.

In conclusione, anche se non perfetta, la versione in inglese è di sicuro la migliore. Vi consiglio quindi di guardare Robin Hood in lingua originale.
Eccoli uno di fronte all'altro, il fuorilegge onesto e lo sceriffo corrotto, pronti a sfidarsi un'ultima volta.

VOTO
6 e mezzo.
Sì, in questi venticinque anni Robin Hood è invecchiato, e non sempre con dignità. Il film è ancora valido, ricco di sequenze memorabili e personaggi simpaticissimi. E la colonna sonora è da orgasmo. Purtroppo Kevin Costner quasi riesce a rovinare il tutto.
Guardatelo in compagnia di qualcuno a cui volete bene, e anche la visione ne gioverà.

giovedì 10 marzo 2016

Colonia - 2015

Dopo aver concluso la saga cinematografica di Harry Potter, la splendida Emma Watson si è dedicata ai progetti più disparati, dalla black comedy al genere biblico. Alcuni film sono stati accolti molto bene, altri... non esattamente. Al momento la sua filmografia post-Hogwarts ricorda un tracciato da montagne russe, tra salite, discese, e magari anche un sacchettino per vomitare a portata di mano.
Il film di oggi, Colonia, si colloca più verso gli alti, sebbene non raggiunga chissà quali vette di eccellenza. E' un thriller tutto europeo, e per il misero budget con cui è stato girato riesce a regalare momenti di genuino intrattenimento.
Al momento in cui scrivo la recensione non ho alcuna data per l'uscita in Italia di questo film: so che una distribuzione italiana esiste, quindi prima o poi uscirà. Se nel frattempo volete conoscere qualcosina in più su questa pellicola, continuate a leggere.

COSA SUCCEDE NELLA COLONIA
Lena è una giovane hostess della Lufthansa, in soggiorno a Santiago del Cile per una settimana nel settembre 1973. Nella capitale si incontra con il fidanzato Daniel, di professione fotografo, il quale ha abbandonato la Germania quattro mesi prima per documentare la difficile situazione cilena nei mesi precedenti il colpo di stato di Pinochet. Daniel è un convinto sostenitore del presidente Allende, nonché della linea di pensiero che la grave crisi economica in cui versa il Cile è dovuta a un intento criminoso degli Stati Uniti di spodestare un presidente scomodo eletto democraticamente.
Quando Pinochet e i suoi uomini mettono in atto il golpe che porta alla caduta del governo, Daniel e Lena vengono arrestati e trascinati allo stadio. Il giovane, nonostante la cittadinanza tedesca, viene additato come simpatizzante di Allende e portato via dai militari.
Lena non si perde d'animo e comincia a raccogliere indizi su dove possa essere stato condotto Daniel. Viene a conoscenza di un luogo remoto a sud della capitale, una rigidissima comunità religiosa chiamata "Colonia Dignidad", gestita da Paul Schäfer, un santone di origini tedesche e collaborazionista del governo Pinochet. A quanto sembra, i simpatizzanti di Allende sono tenuti prigionieri e torturati all'interno della colonia.
Lena decide quindi di entrare a far parte della comunità di Schäfer, nella speranza di ritrovare il suo fidanzato e tornare insieme in Germania.

COMMENTIAMO COLONIA
Meglio tagliare la testa al toro fin da subito: nella didascalia iniziale, Colonia si auto-definisce un film "Based on true events", che si può interpretare un po' come si vuole. Dal mio personale punto di vista, lo ritengo un "liberamente ispirato a vicende realmente accadute". Quindi per me Colonia non vuole essere un film storico, e non deve essere giudicato in quanto tale. Se per voi il realismo storico è una condizione imprescindibile, state alla larga da questa pellicola; se d'altro canto ritenete che un film possa prendersi qualche libertà, allora possiamo dare una breve occhiata a quali sono i punti di forza di Colonia, e anche a quali sono le sue magagne.

Colonia è, alla base, un thriller. Abbiamo due protagonisti coraggiosi e tenaci, un cattivo irredimibile, personaggi di contorno che c'hanno scritto "Io muoio" in fronte, e inseguimenti mozzafiato. Gli ingredienti ci sono, insomma, e sono quelli giusti. Il film dura circa un paio d'ore, e posso assicurare che non c'è un singolo momento morto: la storia prosegue a ritmi serrati, c'è sempre un nuovo segreto da scoprire all'interno della colonia, e l'interesse dello spettatore è mantenuto vivo.

Ci sono due grossi problemi, tuttavia, alla base di questo film. Il primo è che l'intera storia olezza di "già visto centinaia di volte" da parecchi chilometri di distanza. Non c'è nulla in questo film che non sia già stato trattato da altri esponenti del genere, pure con maggiore effetto oserei dire (e tra gli esponenti includo anche serie TV come Prison Break). Non solo, Colonia preferisce giocare molto sul sicuro, al contrario di tanti altri film in cui gli eroi si trovano effettivamente in condizioni psicologicamente stressanti.
Sarà per la necessità di concentrare quattro mesi di vicende in due ore, sarà per l'interpretazione sottotono di Michael Nyqvist nel ruolo del cattivo, fatto sta che non abbiamo mai l'impressione che Daniel e Lena si trovino davvero in pericolo; assistiamo sì a episodi di abusi, sia verbali che fisici, ma sembrano più amichevoli pacche sulle spalle che non truci rappresentazioni di quella ferocia e sadismo che hanno caratterizzato la dittatura di Pinochet.

L'altro grosso problema risiede nel ritmo del film. Come ho accennato qui sopra, il soggiorno forzato di Lena e Daniel all'interno di "Colonia Dignidad" dura all'incirca quattro mesi. La pellicola tenta, in maniera piuttosto maldestra, di condensare questi quattro mesi in poco meno di due ore. In poche parole, ogni scena viene presentata secondo un'identica scaletta: dapprima sullo schermo appare una planimetria della colonia con a fianco il numero di giorni trascorsi da Lena al suo interno; poi assistiamo a una scena di pochi minuti in cui ai buoni succede qualcosa, o nella quale il cattivo si appresta a compiere qualche gesto eticamente discutibile. Tuttavia non vediamo mai le conseguenze di tali azioni, perché è già l'ora della prossima planimetria e della prossima scena.
Lena disobbedisce alla superiora; verrà punita o non verrà punita? Boh, non lo sappiamo.
Ai membri della comunità vengono somministrate ogni giorno delle pillole; quali sono i loro effetti? Boh, possiamo solo immaginarlo.
E via di questo passo.
 
Ironicamente, è il cattivo Paul Schäfer la vittima principale del modo in cui le scene sono costruite. Il personaggio reale era un pedofilo psicopatico in combutta con la dittatura di Pinochet, che per decenni ha avuto totale potere di vita e di morte sui membri della comunità religiosa da lui fondata. Con una personalità del genere ti puoi sbizzarrire a più non posso, se ti chiami Stephen King o Carlo Lucarelli. Se invece sei Florian Gallenberger e hai a disposizione un budget ridotto, devi sacrificare la psicologia di Schäfer a favore della trama. In pratica, a causa del ritmo serrato del film, Paul Schäfer ne esce irrimediabilmente ridimensionato, un leone con la dentiera che non fa paura a nessuno.

Riassumendo il tutto, ho come l'impressione che se invece di un film avessero prodotto una miniserie in sei-otto puntate, il regista avrebbe potuto sviluppare in maniera più soddisfacente la caratterizzazione dei personaggi principali, così come le varie sotto-trame che coinvolgono gli altri membri della comunità.
Così com'è, Colonia è la dimostrazione che si può realizzare un thriller di discreta fattura anche con pochi soldi, e nulla più.

La locandina del film per la distribuzione in Lussemburgo

VOTO
Dal 6 al 7. Non c'è nulla che non funzioni in questo film: è avvincente, mai noioso, esattamente come un thriller deve essere. E' semplicemente tutto troppo prevedibile. Allo stesso tempo, le vicende sono parecchio edulcorate rispetto alla realtà di quanto è avvenuto all'interno di "Colonia Dignidad".
Da cineforum, ma solo se non ci sono altri argomenti di cui parlare.

martedì 8 marzo 2016

Anomalisa - 2015

Disagio. Questo film me ne ha messo tanto.
Anomalisa è il lavoro più recente di Charlie Kaufman, lo sceneggiatore di Essere John Malkovich e Se mi lasci ti cancello, per intenderci. Sono entrato in sala con la consapevolezza che avrei assistito a qualcosa di surreale, inverosimile, anche alienante, conoscendo Kaufman; e nonostante tutta la preparazione psicologica, sono uscito dal film con un gran "Che cazzo ho appena visto?" stampato in faccia.
Mentre mi accingo a buttar giù qualche impressione a caldo, mi chiedo se il film mi sia piaciuto o meno. Stranamente al momento non mi so dare una risposta; chissà se alla fine della recensione riuscirò almeno a dare un voto a questo film.
Come d'abitudine, cominciamo con un piccolo accenno alla trama.

COSA SUCCEDE IN ANOMALISA
Michael Stone è un affermato scrittore di manuali per la crescita personale, giunto a Cincinnati per partecipare a una conferenza sul tema "assistenza al cliente".
Nonostante la sua fama di autore dal talento straordinario nel "leggere" le persone, l'uomo si trova in evidente difficoltà a interagire con chi gli sta intorno. Non solo: Michael si vede circondato da individui completamente identici, tutti con lo stesso volto e la stessa voce maschile, a prescindere che essi siano donne o uomini, giovani o anziani. Perfino sua moglie e suo figlio non fanno eccezione.
Arrivato all'hotel che ha prenotato per passare la notte, Michael è perseguitato dai ricordi di una sua vecchia fiamma, Bella, che lui ha lasciato di punto in bianco un giorno senza alcuna spiegazione. I due si incontrano nel bar dell'albergo, ma l'incapacità di Michael di motivare il suo abbandono, nonché la sua proposta improvvisa di proseguire la conversazione in camera da letto portano Bella su tutte le furie. L'ex-fidanzata esce dal bar lasciando Michael solo.
In seguito l'uomo si imbatte per caso in una giovane donna di nome Lisa, unica "diversa" in un mondo popolato da individui tutti uguali. In Michael scatta un desiderio irrefrenabile di sapere tutto su di lei, e la invita in camera sua. Lisa è incerta sul da farsi, ma l'attrazione per Michael vince la sua insicurezza e i due passano la notte assieme.
L'indomani, giorno della conferenza, Michael si ritrova combattuto tra l'accattivante prospettiva di un futuro assieme a Lisa, e il dubbio che la giovane donna non sia quella persona "unica" che gli era sembrata la sera precedente.

COMMENTIAMO ANOMALISA
Anomalisa è un film in stop-motion con pupazzi animati. A differenza di tanti altri esponenti di questo genere, come Coraline e la porta magica o Nightmare Before Christmas, dove l'estetica si avvicina più a quella di un cartone animato, in Anomalisa è il realismo a far da padrone. O meglio, una raffigurazione del mondo reale costruita in base ai limiti che la tecnica stop-motion comporta.
Il risultato finale, pupazzi dalle fattezze umane che si muovono e interagiscono in maniera non sempre naturale, alimenta quella sensazione di disagio che accennavo all'inizio del post. Il disagio comincia a farti compagnia fin dai primi fotogrammi del film e non ti abbandona nemmeno quando i titoli di coda sono terminati.
Questa spiacevole sensazione è facilmente identificabile nel concetto di uncanny valley (cliccate sul termine per la definizione su Wikipedia), e sono più che sicuro che Kaufman ricercasse proprio questo effetto durante la realizzazione di Anomalisa.

Non voglio soffermarmi sui vari dettagli che rendono questa pellicola un compendio di uncanny valley: ritengo che molti aspetti del film debbano essere sperimentati in prima persona, senza preconcetti. D'altronde, pure io sono andato a vedere questo film a mente completamente aperta: niente lettura di recensioni, niente sbirciatine alla trama, mi sono soltanto concesso la visione del trailer, che potete trovare qui sotto.
Diciamo solo che già il film di per sé non brilla di ottimismo, se ci metti pure questa estetica realistica che al tempo stesso non può essere realistica proprio per come il film è girato, crei un'opera di sicuro sorprendente, ma più per l'amaro che ti lascia dentro.
Andate a vedere questo film, osservate per bene le fattezze del volto dei vari personaggi, e poi ne riparliamo.

Una chicca che ho scoperto mentre tornavo a casa è un riferimento al trasformista italiano Leopoldo Fregoli nel nome dell'albergo in cui Michael a Lisa alloggiano: il Fregoli, appunto.1
Esiste una rara malattia psichiatrica definita come "sindrome di Fregoli", in cui la persona affetta è convinta di essere perseguitata da un individuo capace di assumere le fattezze altrui.
Michael potrebbe quindi essere affetto da questa sindrome, in quanto vede le persone intorno a lui come mera fotocopia l'una dell'altra, tutte riconducibili a un individuo dagli occhi azzurri e il sorriso vagamente pronunciato.

Anomalisa non si presta a facili interpretazioni: ciò che è certo è che abbiamo due individui "unici", Michael e Lisa, con caratteristiche fisiche ben definite e immersi in un marea di persone tutte uguali. Una prima interpretazione potrebbe essere che il motivo per cui ci innamoriamo è proprio questo: e cioè che quando troviamo la nostra "anima gemella", essa ci appare differente da chiunque altra.
Tuttavia, se teniamo in considerazione il nome dell'albergo e la patologia a cui si associa, allora Anomalisa diventa la storia di un uomo in preda al delirio, il quale ritrova temporaneamente la sanità mentale grazie all'incontro fortuito con una giovane donna piena di complessi.
Il film semina indizi qua e là a favore sia della prima che della seconda interpretazione, senza mai propendere per l'una o per l'altra. Sta a noi spettatori trovare la spiegazione che riteniamo più appropriata. In bocca al lupo nel capire qual è: per quanto mi riguarda, credo che ci rimuginerò sopra per una settimana buona.

VOTO
7 pieno. Vado leggermente in controtendenza rispetto alla maggioranza delle recensioni. Anomalisa è un film che di sicuro ti rimane dentro, e presenta innumerevoli chiavi di interpretazione (ben più di quei pochi spunti che ho a malapena abbozzato in questa breve recensione). Il prezzo da pagare per questo viaggio alla ricerca della persona unica, tuttavia, è una pesante dose di disagio iniettato direttamente in vena.
E' un film che vale la pena vedere? Sì, certamente.
Me lo riguarderei? Ah ah ah ah ah! No.





1 Per qualche arcano motivo, nella versione inglese il nome viene pronunciato talvolta "fregòli" e talvolta "fre-jolie". Ma gli stupri alla lingua italiana non si fermano qui: il peggio lo raggiunge Lisa quando cerca di pronunciare "Le ragazze vogliono il meglio", cannando ogni singolo accento. Aggiungo questi stupri alla lista dei "fattori disagio".

giovedì 3 marzo 2016

Room - 2015

Questo film è una meraviglia.
Quella meraviglia che devi sempre sentirti dentro se vuoi scoprire il mondo, parafrasando Platone.
Room trae ispirazione da una vicenda realmente accaduta non molto tempo fa in una cittadina austriaca, conosciuta in tutto il mondo come il caso Fritzl: una giovane donna tenuta prigioniera per anni nello scantinato di casa dal padre e costretta ad avere continuamente rapporti incestuosi con lui.
Mi ricordo che, quando qualche anno fa il caso venne alla luce, non riuscivo a trovare le parole per esprimere il mio sgomento di fronte a quanto era accaduto. In maniera molto simile, dare un nome alle emozioni che ho provato mentre guardavo le scene che si susseguivano sullo schermo non è facile.
In una parola soltanto, Room è affascinante; come solo l'amore e l'orrore possono essere.

COSA SUCCEDE NELLA STANZA
Joy e il figlio Jack vivono segregati in un capannone non più grande di dodici-tredici metri quadrati. Joy è stata rapita da uno squilibrato sette anni or sono, quando la ragazza era appena diciassettenne; Jack, invece, è nato nel capannone e non ha mai visto nulla del mondo di fuori. Anzi, per lui il "fuori" non esiste, il mondo reale è formato dal Letto, l'Armadio, il Lavandino, la Vasca da bagno, la Cucina, e la Mamma. Fuori c'è lo Spazio, il vuoto assoluto, e più lontano ancora c'è il Paradiso.
L'unico altro essere umano che Jack conosce è l'uomo che ha sequestrato sua madre, e che viene ogni sera a portare del cibo e ad abusare della ragazza.
Quando Jack compie cinque anni, Joy decide di rivelargli la verità: fuori dalla porta del capannone c'è un mondo intero, popolato di persone, animali, automobili, alberi e tanto altro ancora. Joy da sola non può avere la meglio sul suo sequestratore, ma insieme al figlio elabora un piano disperato per fuggire dal capannone e ritrovare la libertà.
Il piano miracolosamente riesce; la polizia arresta l'uomo e l'incubo della prigionia ha termine. Ora davanti a Joy e Jack si presenta una nuova sfida: la madre deve riadattarsi al mondo di fuori, mentre il bambino deve imparare a conoscerlo per la prima volta. Se per Jack, superato un primo periodo traumatico, il processo è relativamente semplice, per Joy il percorso di riabilitazione è assai più difficoltoso.

COMMENTIAMO ROOM
Le impressioni a caldo sono moltissime, tanto che non è facile spiegare in poche righe perché questo film è una meraviglia.
Cominciamo da Jack, il bambino nato nel capannone. Tanto di cappello a Jacob Tremblay, il piccolo attore che interpreta questo personaggio. Come in Revenant l'intera narrazione poggia sulle spalle di Leonardo DiCaprio, così in Room è Jacob Tremblay a portare avanti l'intera vicenda. Uno sfoggio di talento e professionalità mica da poco, e sto parlando di un attore che ha soltanto nove anni! Jacob, ascoltami: continua così che sei un fenomeno e non diventarmi un altro Macaulay Culkin. Te lo chiedo col cuore.
Poi c'è Brie Larson, la mamma, premiata con l'Oscar come miglior attrice protagonista (a quanto pare nessuno sapeva come pronunciare Saoirse Ronan); la sua metamorfosi da persona affettuosa, razionale e ottimista nonostante le avversità, a creatura fragile, insicura e scostante proprio quando si trova al sicuro è terribilmente splendida. A parte certi sguardi da spiritata che mi ricordavano Helena Bonham Carter, ma possiamo sorvolare.

In ogni caso, il protagonista assodato del film è il piccolo Jack, inconsapevole eroe di un moderno mito della caverna. Dapprima c'è la Stanza, che è fatta di persone e cose vere, mentre tutto quello che si vede in televisione è finto; il fuori non esiste, c'è solo lo Spazio vuoto. Poi d'un tratto arriva il mondo, quello che nella mente di Jack era solo finzione, ma che invece è reale e tangibile. E il mondo è abbagliante, caotico, infinito, tanto che il tempo a disposizione per viverlo non è mai abbastanza.
Sono concetti di una complessità enorme, a cui Jack cerca di dare una spiegazione nei suoi monologhi dove si fondono intuizione e ingenuità, in quella logica illogica che solo un bambino può ideare.

Per la brutalità della sua storia e l'interpretazione degli attori, Room è una pellicola che mi ha sorpreso, e molto. E' uno di quei film che riesce a farti provare lo stupore più autentico; proprio quando pensavi di aver ormai visto tutto.

VOTO
8 e mezzo. Godetevi questo gioiello e rimanete a bocca aperta anche voi insieme a Jack.

martedì 1 marzo 2016

Reefer Madness: The Movie Musical - 2005

Tanti anni fa la coltivazione e il consumo di canapa, pianta dai molteplici usi, erano tollerati in tutto il mondo. Ma intorno al 1930 iniziò negli Stati Uniti una campagna mediatica volta a demonizzare questa pianta e l'uso ricreativo che ne veniva fatto. Nel giro di pochi anni la canapa divenne agli occhi dell'opinione pubblica la pianta del demonio e il suo utilizzo fu dichiarato illegale, status che persiste ancora oggi in buona parte dei paesi occidentali e non.
Ma non sono qui per aprire un dibattito su marijuana sì - marijuana no. Sono qui per parlare di cinema e mi serviva un'introduzione per presentare il film di oggi.
Dunque, torniamo agli anni Trenta e alla campagna mediatica: viene realizzato un film allo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica, uno pseudo-documentario intitolato Tell Your Children (Ditelo ai vostri bambini). In esso vengono descritti gli spaventosi effetti della marijuana attraverso la tragica vicenda di due giovani liceali di belle speranze, Bill e Mary, vittime di questa droga infernale.
Le intenzioni di Tell Your Children, almeno in teoria, sono quelle di informare e mettere in guardia i genitori americani. Tuttavia il film è infarcito di una quantità tale di menzogne spacciate per ricerche scientifiche (la marijuana provoca allucinazioni, ninfomania, demenza, e molto altro ancora), oltre che di fatti inventati di sana pianta (il migliore rimane la storia del tizio che massacra la sua famiglia a colpi d'accetta dopo aver fumato uno spinello; ma quando mai?), che un produttore di film d'exploitation ne acquista i diritti e comincia a proiettarlo con il titolo di Reefer Madness (Pazzia/follia da spinello), e l'intento educativo va a farsi benedire.
Passano gli anni, la pellicola viene messa in soffitta per poi essere riscoperta negli anni Settanta, quando diviene un film culto per la recitazione approssimativa e la comicità involontaria delle sue scene. Sul finire degli anni Novanta Reefer Madness conosce una nuova ondata di popolarità grazie al remake-parodia omonimo realizzato in chiave musical per il teatro; da lì il passo alla trasposizione cinematografica è quasi immediato, e infatti nel 2005 ecco arrivare Reefer Madness: The Movie Musical, il film di cui voglio parlare oggi.
Swing, gonne lunghe, gilet e tutta la follia degli anni Trenta.
Da documentario moralista e malriuscito a frizzante commedia musicale, il percorso di Reefer Madness è di certo uno dei più bizzarri nella storia del cinema, e per questo ho voluto inserire questa breve digressione sulle sue origini. Il film degli anni Trenta non è protetto da copyright negli Stati Uniti, e si reperisce facilmente su Youtube. Se volete darci un'occhiata ricordatevi due cose: 1) la pellicola non è mai stata distribuita in Italia, quindi esiste solo in inglese e l'audio è quello gracchiante degli anni Trenta; 2) è un film girato davvero male. Quindi se non masticate l'inglese e non avete una passione per il trash vi consiglio caldamente di lasciarlo perdere.
Al massimo date un'occhiata alla videorecensione di Doug Walker, alias The Nostalgia Critic, che si trova anche sottotitolata in italiano (in maniera pessima, ma meglio di niente), e in venti minuti vi fate un'idea.

E ora, largo al musical.

COSA SUCCEDE IN REEFER MADNESS: THE MOVIE MUSICAL
La versione recensita è quella tedesca uscita nel 2009;
al momento è l'unica esistente in formato Blu-ray.
Un agente governativo mette in guardia gli abitanti di una quieta cittadina degli Stati Uniti riguardo al proliferare tra i giovani del consumo di una droga tanto potente quanto pericolosa, la marijuana. L'obiettivo dell'agente è quello di sensibilizzare l'opinione pubblica, spronandola ad agire prima che il fenomeno assuma dimensioni incontrollabili.
Per fare ciò, l'agente mostra agli ignari cittadini la storia di Jimmy Harper e Mary Lane, due ragazzi innamorati che vedono il loro sogno d'amore, e le loro vite, andare in frantumi proprio a causa della marijuana.
Jimmy, infatti, teme di perdere l'interesse di Mary qualora la ragazza scoprisse che è una frana a ballare. Il giovane accetta quindi di prendere lezioni di ballo da Jack, un malvivente che gestisce il business locale di produzione e vendita al dettaglio di marijuana. Giunto all'appartamento di Jack, Jimmy si ritrova con uno spinello in bocca e diviene subito schiavo di questa terribile droga.
Da studente modello Jimmy si tramuta in un ribelle assatanato, e Mary si domanda il motivo di questo repentino cambiamento; così una sera lo segue fino all'appartamento di Jack. Entrata nel covo del gangster, anche la ragazza cade vittima dello spinello tentatore; è a quel punto che Mary, suo malgrado, innesca un'inarrestabile spirale di tragedia tra sesso sadomaso, efferati omicidi, necrofilia, Satana e morti viventi.

Jimmy e Mary dichiarano il loro amore imperituro sui versi di Romeo e Giulietta.
Nel caso non fosse chiaro che la loro storia deve concludersi in tragedia.

COMMENTIAMO REEFER MADNESS: THE MOVIE MUSICAL 
Abbandonarsi ai piaceri carnali insieme a Moloch...
Partiamo dai lati positivi: è uno dei musical più spassosi di cui esista una versione cinematografica (ok, a essere pignoli questo è un film per la TV, ma ci siamo capiti); inoltre, delle quattordici canzoni che compongono il film almeno dieci sono memorabili.
... o dare ascolto agli ammonimenti di Gesù?
Particolarmente azzeccati sono i due numeri corali a circa un terzo della storia: The Orgy, in cui Jimmy in preda alle allucinazioni sogna di trovarsi nel bel mezzo di un baccanale, e la sua "immacolata" controparte Listen to Jesus, Jimmy, dove Gesù in persona cerca di convincere il ragazzo a tornare sulla retta via.
Ma l'intera colonna sonora è colma di tocchi di classe, e se mi metto a elencarli tutti mi servono dieci pagine. In poche parole, (quasi) tutte le canzoni sono una gioia per le orecchie e le coreografie una gioia per gli occhi. E da un musical non si può chiedere di meglio.
Passiamo quindi all'altro lato positivo: la performance degli attori principali. D'accordo, non siamo di fronte a esibizioni da Oscar (stiamo parlando di un prodotto pensato per il mercato home-video, dopotutto), ma il talento c'è tutto, e si vede. Spiccano Alan Cumming (l'agente governativo, Moloch, il presidente Roosevelt e altri ruoli minori), Kristen Bell (Mary Lane) e Ana Gasteyer (l'amante di Jack), i quali più di chiunque altro sembrano spassarsela un mondo a recitare sul set.

Gli aspetti che non funzionano sono per la maggior parte marginali, tranne uno che riserverò per ultimo.
Dunque, questo Reefer Madness nasce come opera da rappresentare su un palcoscenico, e le sue origini risultano evidenti nella maniera in cui molte scene vengono girate: spesso infatti sembra di trovarsi a teatro, con una macchina da presa sonnacchiosa e un regista che si preoccupa solamente che tutti i personaggi siano dentro l'obiettivo. La regia insomma non è delle più esaltanti, ma è un dettaglio trascurabile in un film per la TV.
Un altro difetto alquanto fastidioso è una scarsa attenzione nel bilanciamento dei colori, con il rosso che esplode peggio di una supernova. Ogni volta che in una scena il rosso è il colore dominante, state sicuri che tutte le figure si amalgameranno in un'ameba informe e traballante, e capirete poco o nulla di quello che sta succedendo. L'intera scena del tango di Jack, in cui il gangster dimostra a Jimmy le sue abilità di ballerino, viene completamente rovinata a causa di ciò. Un minimo di attenzione in più durante la fase di post-produzione avrebbe giovato; ma d'accordo, il film rimane comunque godibile.
Bastano un paio di tiri e si diventa esperti di pelle borchiata, catene e fruste, come ci dimostra qui la nostra Mary.
L'aspetto che davvero non funziona è un altro: avete presente un amico che vi racconta una barzelletta, voi cominciate a ridere, ma l'amico vi ferma e vi spiega la battuta? Poi ve ne racconta un'altra, voi capite anche questa e state per scoppiare a ridere, ma lui vi blocca ancora e ve la spiega? La prima volta non dite nulla, la seconda volta gli dite non c'era bisogno di spiegazioni e se lo rifà una terza volta lo prendete a badilate sulle gengive. Ecco, Reefer Madness: The Movie Musical è un continuo sottolineare fino allo stremo chi e che cosa si sta prendendo in giro: perché non sia mai che il pubblico non capisca che sta guardando una parodia.
Questo volere a tutti i costi spiegare la battuta distrugge completamente il numero finale Tell'em the Truth, in cui non si lascia spazio ad alcuna sottigliezza o interpretazione. Il messaggio del film deve essere chiaro: se vuoi avere l'opinione pubblica dalla tua parte, fai leva sulle sue paure; riempila pure di menzogne, chissenefrega, perché il fine giustifica i mezzi.
Messaggio che, a mio modesto parere, è più che mai palese anche senza un'intera canzone che te lo spieghi; e non una volta sola, ma tre, quattro, cinque, finché a film terminato vorresti avere un badile in mano e il regista davanti.

Ecco tutto: Reefer Madness: The Movie Musical è una pellicola che rimane spassosa dall'inizio alla fine, ma che non conosce il concetto di sfumatura, e nel suo ripetere più e più volte lo stesso messaggio corre spesso il rischio di diventare perfino più moralista del film che vuole parodiare.
Rimane comunque un prodotto divertentissimo, con tante canzoni orecchiabili e un cast di personaggi carismatici. Se una sera avete voglia di musical, date una chance a questo film.
Sotto l'effetto della marijuana Jimmy va a lavarsi nella doccia sbagliata.
IN CHE LINGUA LO GUARDO?
La risposta è quanto mai semplice: in inglese.
Proprio come il suo antenato, anche Reefer Madness: The Movie Musical non ha mai conosciuto una distribuzione ufficiale nel Bel Paese, quindi non esiste una versione doppiata in italiano.
E anche se esistesse, le canzoni sarebbero comunque in inglese, quindi a quel punto tanto vale guardarselo tutto in originale, no?
Gangster, galeotti, zombie e Satana: nessuno manca all'appello.

VOTO
7 pieno, se vi piacciono i musical. Togliete un punto intero se invece non siete fan del genere. Ma a questo punto, perché mai dovrebbe interessarvi un film per la TV?

Premi Oscar 2016 Mix and Match


Con le statuette ancora calde, pubblico un breve aggiornamento sui film premiati che ho avuto occasione di vedere in questi mesi. Pochi, mannaggia a me: soltanto il quartetto qui sopra. Mi metto in ginocchio sui ceci da solo per non aver ancora guardato Mad Max: Fury Road. Il Blu-ray è stato prontamente ordinato la settimana scorsa, e prima o poi spero che riesca a raggiungere il mio eremo lussemburghese.
Ok, per il momento concentriamoci sui film che ho effettivamente guardato. Poche righe per ciascuno, soprattutto perché sono già trascorse alcune settimane da quando sono andato a vederli, e non posso ricordare ogni singola scena.

THE HATEFUL EIGHT - 2015
Premio Oscar per la miglior colonna sonora a Ennio Morricone

Qui lo posso dire, tanto è il mio blog: questo film mi ha provato. Parecchio. In parte è colpa mia, perché dopo otto ore passate in ufficio ho deciso di andare a vedere un film che ne dura tre. Inoltre, durante i primi 90 minuti non succede praticamente nulla, e in un paio di occasioni ero lì lì per cedere alla palpebra calante. Poi, quando il film ingrana, è un meraviglioso festival di ruggine, sangue e merda, degno del miglior Tarantino; ma per arrivarci a questo festival bisogna resistere all'abbiocco.
Lo avessi visto durante il weekend magari l'avrei apprezzato di più.

The Hateful Eight è un western ambientato all'interno di una stazione di ristoro per diligenze, dove otto personaggi poco raccomandabili trovano riparo da un'imperversante bufera di neve. Tarantino divide i suoi otto eroi in due squadre: i "giusti" che stanno dalla parte della legge (due cacciatori di taglie e uno sceriffo alle prime armi), e i "malviventi" (una brigantessa prigioniera di uno dei cacciatori, e tre scagnozzi della sua banda in incognito); l'ottavo personaggio, un anziano generale sudista, non partecipa direttamente allo scontro.
Lo scopo dei "giusti" è di raggiungere il villaggio di Red Rock, ciascuno per un motivo differente, mentre l'obiettivo dei "malviventi" è quello di liberare la donna, capo della loro banda.
Ne consegue un duello senza esclusione di colpi tra le due squadre, fatto di inganni ed esasperazioni sia fisiche che psicologiche, una sorta di Agatha Christie in chiave splatter.
Se volete sapere quale delle due squadre ne esce vincitrice, andate a guardarvi il film e soffrite anche voi.

Voto: 7 e mezzo. Un incipit più spedito avrebbe di sicuro giovato a questa pellicola. Guardatelo a mente sveglia e vi divertirete un mondo.


REVENANT - REDIVIVO - 2015
Premio Oscar per la miglior regia ad Alejandro Iñárritu
Premio Oscar per il miglior attore protagonista a Leonardo DiCaprio (yay, ce l'hai fatta Leo!)
Premio Oscar per la miglior fotografia a Emmanuel Lubezki

Forse più di qualunque altro film candidato quest'anno, Revenant incarna il motto "No pain, no gain". Due ore e mezza di sofferenza fisica portata allo stremo, con un Leo prima sbranato da un'orsa, poi lasciato in fin di vita dai suoi compagni, poi braccato dai nativi americani, poi ancora mezzo morto assiderato... senza contare che in tutto questo uno dei suoi compagni gli ha ammazzato il figlio sotto gli occhi.
Insomma se te la vuoi guadagnare questa statuetta d'oro, allora devi soffrire. Ma proprio tanto.

Revenant è ispirato a una storia vera, quella dell'esploratore Hugh Glass abbandonato nelle foreste del South Dakota, dopo che i suoi compagni lo avevano creduto morto.
Iñárritu riprende la vicenda originale, mettendo in rilievo la formidabile forza di volontà di quest'uomo nel fronteggiare ogni tipo di avversità per ritrovare l'assassino del figlio e farsi giustizia.
La regia è spettacolare: il piano sequenza iniziale in cui i protagonisti sfuggono per miracolo all'imboscata dei nativi vale da solo il prezzo del biglietto. E poi c'è Leo, in un'interpretazione ferina che da sola tiene in piedi l'intero film.

Voto: 8 più. Revenant lascia semplicemente a bocca aperta. Guardatelo; è un ordine.


IL CASO SPOTLIGHT - 2015
Premio Oscar come miglior film
Premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale a Tom McCarthy e Josh Singer

Allora, prima domanda: perché in italiano ci hanno dovuto aggiungere quelle due paroline al titolo? Che poi uno va a pensare che ci sia un caso di cronaca chiamato "Spotlight". No, "Spotlight" è semplicemente il nome di un team del Boston Globe che si occupa di giornalismo d'inchiesta: quindi ricerche negli archivi, raccolta di testimonianze, interviste, eccetera.

La trama in breve: nel 2001 si instaura al Boston Globe un nuovo direttore, Marty Baron. Il team Spotlight è alla ricerca di un nuovo tema su cui lavorare, e Baron propone di indagare su alcuni casi di abusi sessuali su minori perpetrati da esponenti del clero di Boston.
Nel corso della prolungata indagine, la squadra mette alla luce un sistema omertoso protrattosi per oltre trent'anni, nel quale i sacerdoti colpevoli di violenza nei confronti dei minori vengono semplicemente trasferiti di parrocchia in parrocchia senza mai essere denunciati alle autorità.

Per come è girato, Il caso Spotlight è un grosso punto interrogativo. E' una pellicola pacata, rilassante, in netto contrasto con l'orrore che i cinque membri del team scoperchiano nel corso della loro indagine. Anche la recitazione degli attori è estremamente composta: davanti a loro si rivela pian piano un machiavellico sistema di insabbiamenti e bustarelle, eppure i cinque giornalisti non battono ciglio, rimangono obiettivi qualunque sia l'orrore che si trovano davanti. La deontologia professionale viene prima di tutto.
Proprio per questa pacatezza di fondo non c'è nulla che risalti nel caso Spotlight; e devo ammettere che il premio Oscar come miglior film mi ha stupito. Ma forse è proprio la ricerca dell'obiettività a tutti i costi che rende questa pellicola degna di nota.

Voto: 7 e mezzo. Da cineforum.


INSIDE OUT - 2015
Premio Oscar come miglior film d'animazione

Titolo rimasto in inglese perché tanto siamo diventati tutti impeccabili anglofoni. Magari.
Neanche un sottotitolino, che ci piace tanto? Che so Inside Out - Che ti passa per la testa?, Inside Out - Viaggio al centro della mente, Inside Out - A Siamo Fatti Così gli fa una pippa?

Ok, di questo film possiedo già il Blu-ray, quindi prima o poi gli dedicherò una recensione completa.
Inside Out è la storia di Riley, una ragazzina undicenne trasferitasi da poco con i genitori a San Francisco. Ambientarsi nella nuova città non è facile, e tale disagio si riflette nelle emozioni che risiedono nella mente di Riley: Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto. Quando, a causa di un incidente, Gioia e Tristezza vengono scaraventate fuori dal quartier generale della mente di Riley, la protagonista si ritrova sempre più in difficoltà nel socializzare con i compagni di scuola e interagire con i genitori. Gioia e Tristezza devono quindi riuscire a ritornare al quartier generale il prima possibile per rimettere a posto lo stato d'animo disorientato della giovane ragazza.

Inside Out è un gioiellino come solo la Pixar sa creare: come ci riescano (quasi) ogni volta è un mistero. Riley siamo noi a undici anni, non più bambini ma non ancora adolescenti, di fronte a un evento che non riusciamo a comprendere ma che dobbiamo accettare, come il trasloco in un'altra città.
Inutile dirlo, la personificazione delle cinque emozioni è azzeccatissima; ma non solo, l'intero concetto di come è strutturata la nostra mente ha un che di strabiliante. Mi risulta oltremodo difficile riassumere in due scarni paragrafi un film complesso come Inside Out: se non l'avete ancora visto, fatelo ora.

Voto: 8 meno. Rigorosamente vietato ai minori di sette anni perché non lo capirebbero.


E con queste quattro mini-recensioni si chiude la mia serata degli Oscar. Chissà che l'anno prossimo non riesca a vedere qualche pellicola in più prima delle premiazioni. Staremo a vedere. Nel frattempo, buone visioni!